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Reddito di cittadinanza, in quanti hanno presentato domanda? Tutti i numeri

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Secondo gli ultimi dati forniti dall’Inps al 31 maggio sono state presentate oltre 1,2 mln di domande per il reddito di cittadinanza e ne sono state accolte 674mila. Il problema però, secondo il sociologo Cristiano Gori, è perché tanti poveri non chiedono il Rdc

Il Reddito di cittadinanza continua il suo percorso nel welfare italiano e superano gli 1,2 milioni le domande presentate al 31 maggio scorso. Tra dichiarazioni entusiaste, soprattutto dalle parti del Movimento Cinque Stelle, o comunque positive, come nel caso del presidente dell’Inps Pasquale Tridico, ex consigliere del leader M5S Luigi Di Maio e “padre” dello strumento e del decreto Dignità, o scettiche, per esempio tra le fila delle opposizioni, si inserisce una riflessione che merita attenzione perché evidenzia un problema sociale e offre spunti per migliorare la fruizione del Reddito stesso.

A farla è Cristiano Gori, docente di Politica Sociale al dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento, senior visiting fellow alla London School of Economics and Political Science (Lse) e consulente scientifico dell’Istituto per la Ricerca Sociale (Irs) di Milano. Su sito Lavoce.info il suo contributo dal titolo “Ma tanti poveri non chiedono il Rdc”.

GLI ULTIMI DATI SUL REDDITO DI CITTADINANZA

Come dicevamo, secondo i dati forniti dall’Inps, al 31 maggio scorso sono arrivate all’istituto di previdenza 1.252.148 domande: di queste ne sono state già lavorate oltre 960mila e 674mila sono state accolte. Con 277mila richieste respinte e 9mila in evidenza il tasso di rifiuto è attualmente al 26%. L’importo medio del Reddito di Cittadinanza corrisposto è di 540 euro mentre l’importo medio delle Pensioni di Cittadinanza finora liquidate, circa 81mila, è di 210 euro.

RDC, LE DOMANDE ACCOLTE SONO TANTE O POCHE?

La riflessione di Gori parte proprio dalle ultime cifre sulle domande accolte: sono tante o poche? “All’interrogativo oggi non si può rispondere – dice -. Non è possibile, infatti, giudicare la capacità di una misura di soddisfare le esigenze della popolazione solo pochi mesi dopo la sua introduzione. Ci vuole più tempo”. Secondo l’accademico, invece, “è già emerso con chiarezza un punto cruciale, del quale però non si parla: stiamo costruendo un sistema che non aiuta adeguatamente i più deboli tra i poveri a richiedere il reddito di cittadinanza”.

PERCHÉ I PIÙ DEBOLI RIMANGONO FUORI

Ciò accade, a suo avviso, per “la scarsità di informazioni e di orientamento sulla presentazione della domanda” che “costituisce uno dei fattori che più ostacola la possibilità che sia inoltrata da parte della popolazione potenzialmente interessata, in particolare i più fragili dal punto di vista culturale e delle reti di relazione”. Dunque, i più emarginati vengono tagliati fuori, cosa che accadeva meno con il Rei, il Reddito di inclusione introdotto dal governo Gentiloni, perché la consulenza era affidata ai Punti unici di accesso, sportelli istituiti presso i comuni.

Nel caso del Rdc, invece, le richieste sono ricevute esclusivamente da Caf, patronati e poste, che hanno “la sola competenza amministrativa di caricare la richiesta, mentre non è più previsto alcun servizio di informazione e di orientamento da parte delle istituzioni pubbliche. Il governo – evidenzia Gori – si è limitato infatti a realizzare alcune campagne mediatiche – via televisione, web ed altri strumenti di comunicazione – per far conoscere l’esistenza del Rdc”. Secondo l’ideatore e coordinatore scientifico dell’Alleanza contro la Povertà in Italia “gli unici soggetti pubblici che – grazie al loro radicamento territoriale – possono svolgere compiti di informazione sono i Comuni, che sono però esclusi dalla prima fase dell’iter ed entrano in gioco solo successivamente, una volta accolte le domande”.

IL RUOLO DEI COMUNI E LE CONSEGUENZE DELLA LORO DISMISSIONE

Secondo alcuni operatori, riferisce il docente, aver abolito la presentazione della domanda ai Comuni “è servito a sgravarli da una mansione burocratica che li distoglieva dai loro compiti di sostegno alle famiglie in povertà. Tuttavia, non bisogna confondere la funzione di informazione/orientamento con quella di ricezione delle richieste”. Si poteva almeno mantenere gli sportelli informativi/consulenziali che pure “avevano, nel Rei, un’efficacia diversa nei vari contesti locali e molto restava ancora da fare”.
Da questa situazione emergono tre conseguenze a partire dalla “privatizzazione gratuita”: un crescente numero di persone si rivolge ad associazioni – Caritas e altre realtà del terzo settore – per capire cosa fare. “Sono soggetti che hanno sempre svolto in parte questa funzione, ma non è possibile scaricarla interamente su di loro” osserva. Esiste poi il caso della “privatizzazione remunerata”. Qui il rischio è di “ripetere quanto avvenuto in Grecia con la misura nazionale contro la povertà introdotta nel 2017 (il reddito di solidarietà sociale). Per la mancanza di adeguati servizi pubblici di informazione e orientamento, il 40 per cento dei richiedenti, per essere aiutato a inoltrare la domanda, ha pagato privatamente una figura esterna al sistema del welfare. Si tratta di singoli privati che, senza alcun inquadramento regolare, svolgono impropriamente tale attività nel mercato sommerso”. Di questo parla un paper della Banca Mondiale pubblicato a gennaio 2019 dal titolo “A Quantitative Evaluation of the Greek Social Solidarity Income”.

L’AIUTO DELL’INPS

Il terzo effetto è la “supplenza dell’Inps”. Tridico infatti ha di recente sottolineato gli ostacoli che “allontanano i più fragili tra gli ultimi dalla possibilità di fruire della misura” e in varie occasioni ha parlato dei “tanti poveri che non hanno nemmeno la capacità – intellettuale o materiale – di presentare la domanda”. Per questo sono state annunciate iniziative mirate per fronteggiare il problema come il progetto “Camper Inps”, che “dovrebbe raggiungere i poveri in aree particolarmente disagiate”. Si tratta di proposte che, a parere di Gori, “serviranno certamente, seppur su piccola scala. Pare tuttavia difficile immaginare che possano supplire alla chiusura per legge dei circa 5 mila punti di accesso comunali attivati con il Rei”.

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