Tap si farà, i 5 Stelle deludono l’elettorato. Annarita Digiorgio smonta le motivazioni addotte da Di Maio e colleghi pentastellati
Tap non è Ilva. E soprattutto non è Tav.
Nonostante la semplificazione da parte degli opinion maker italiani ad associare il lavoro sulle grandi opere del nuovo governo mettendole in unico grande calderone, se l’approccio politico, più propagandato che realizzato, potrebbe essere lo stesso (sostanzialmente un no a tutto) gli iter sono differenti.
TUTT’ALTRA FACCENDA RISPETTO A ILVA E TAV
Il dossier Ilva mancava di un accordo fondamentale tra sindacati e azienda, che Di Maio ha prodotto siglando definitivamente il trasferimento d’azienda con il fitto e la cessione a un privato di un’impresa temporaneamente commissariata, quindi pubblica.
Tav, opera sostanzialmente pubblica, manca ancora di autorizzazioni e finanziamenti. Tap no. È un’opera privata. Senza oneri pubblici (al netto di quelli di Snam, che come ci mette ci guadagna) ma significativi vantaggi per lo Stato e cittadini.
Ma soprattutto è un’opera compiuta. Completa cioè di tutte le autorizzazioni, permessi, accordi possibili. E già realizzata per l’80%.
Nulla si sarebbe potuto fare per interromperla. Troppo tardi. O meglio, nulla di conveniente in termini economici, geopolitici, e di credibilità. O come si suol dire senza pagarne “pegno”.
UNA STRADA C’ERA
Due erano le uniche possibilità per inseguire comunque questa rotta.
La prima: verificare che l’iter fosse regolare e diversamente ritirare in autotutela le autorizzazioni già date. Lo ha fatto il Ministro dell’Ambiente Costa: l’iter e le autorizzazioni sono assolutamente legittime, ha sentenziato.
La seconda: ritirare tutto pagandone il risarcimento. Il costo è troppo alto, ha sentenziato Il Presidente del consiglio Conte. Quindi Tap non la blocchiamo.
CHI LO DICE AGLI ELETTORI NO TAP?
Nel mezzo vi è la politica. Ovvero quella di chi si è candidato con il mandato elettorale di “vincere le elezioni e bloccare Tap in 15 giorni”. Ovvero del capo del Movimento 5 Stelle ora vicepremier Luigi Di Maio, e del rapporto tra gli eletti 5 Stelle e il movimento No Tap che ne è stato bacino elettorale, politico e programmatico.
Per cercare di non rompere questa alleanza Di Maio ha giustificato la decisione del “non expedit” dicendo “solo una volta al governo abbiamo potuto verificare carte prima nascoste dalle quali trapelano penali di 20 miliardi”.
Ma la motivazione politica addotta non regge la prova del fact checking fornita da documenti ufficiali provenienti dallo Stesso Ministero da lui retto.
DOCUMENTO CHE SCOTTA
La pistola fumante è il documento tecnico ufficiale con cui a settembre il Mise rispondeva ai comitati No Tap che avevano fatto richiesta di accesso agli atti sulle penali da pagare in caso di revoca.
Ed è in questo documento che il Mise scriveva esplicitamente che non vi erano penali a carico dello Stato ma che la revoca dell’autorizzazione rilasciata e riconosciuta legittima da tutti i contenziosi amministrativi causerebbe una serie di danni a soggetti sia pubblici che privati.
In primis il consorzio internazionale che sta costruendo l’opera, poi le ditte degli appalti per la realizzazione, e infine le società di shipping che hanno già venduto il gas azero. Configurando richieste di rimborso nonché dei danni economici connessi alle mancate forniture e attivando cause o arbitrati internazionali che proteggono gli investimenti esteri effettuati dai privati.
Nel documento il Mise per la prima volta esplicita l’ammontare dei risarcimenti, rifacendosi a stime della Socar valutate tra i 40 e i 70 miliardi di euro. Una forbice così alta non toglie credibilità al preventivo, poiché comunque soggetta a potere discrezionale della magistratura.
QUESTIONE ECONOMICA
Sommariamente si sono calcolati 11 miliardi euro per le ditte (Enel, Edison ed Hera) con cui si sono già chiusi contratti impegnandosi a vendere il gas dal 2020 al 2045, a cui si aggiunge l’utile a cui Tap dovrebbe rinunciare e i costi che ricadrebbero sui produttori azeri per il gas estratto e non venduto che ammontano a 7 miliardi. Poi ci sono i contratti con le aziende fornitrici dell’impianto tra cui le italiane Saipem, Renco e Bonatti per 3,5 miliardi.
Spostare l’approdo invece come chiede Emiliano, cosa che non si può fare perché tutti gli altri approdi già vagliati sono stati esclusi dal Via (quindi ambientalmente più impattanti), ammonterebbe a quasi 2 miliardi di riprogettazione e 2-3 anni di ritardo per mancati servizi.
SI SAPEVA GIÀ
Nel documento viene anche specificato che la cifra è stata comunicata durante la visita in Azerbaijan fatta dal ministro Moavero col presidente Mattarella e che risale al 23 luglio.
Sempre il documento del Mise specifica che però tale passaggio era noto dal 2013, cioè dalla legge di ratifica del trattato internazionale che ha dato avvio all’opera.
E che per recedere o modificare l’accordo è necessario acquisire preventivamente l’approvazione delle altre Parti cioè Grecia e Albania.
E infine lo stesso Mise, di Di Maio, scrive le ragioni per cui il Tap e stato voluto dall’Ue come Progetto di Interesse Comunitario: poiché aumenta la sicurezza degli approvvigionamenti italiani ed europei differenziando le rotte di arrivo del gas e diminuendo la forte dipendenza dal fornitore russo, e aumenta la competizione sul mercato italiano e favorisce l’integrazione tra i mercati del nord e centro Europa e quelli del sud tramite l’Italia.
Quindi, che la si continui a considerare strategica o meno, i lavori dell’opera andranno avanti come fino ad oggi (sperando non sia più necessario presidiarli con i militari).
L’AMMISSIONE DI LUIGI DI MAIO
“Avremmo potuto bloccarla se le avessimo vinte nel 2013, ma ci siamo arrivati nel 2018 quando era già tutto autorizzato dal Pd” ha ammesso alla fine Di Maio.
Del resto che si tratti di penali o risarcimenti, che lo sapessero o no, che un’opera strategica di interesse transnazionale, che attraverso mezzo mondo per 878 chilometri, di cui solo gli ultimi 8 in Italia, e che è completata per l’85%, avendo tutte le autorizzazioni legittime e regolari necessarie, si possa interrompere per l’esclusiva prepotenza dei bagnanti della spiaggia di San Foca, senza pagare “pegno” in termini economici, industriali e geopolitici, non sarebbe concepibile neppure a carte coperte. Ne va della credibilità di una nazione.