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Carlo Renoldi, chi è il nuovo Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria

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In passato Carlo Renoldi ha scritto: “Sono per un carcere costituzionalmente compatibile. Un carcere dei diritti, in cui però siano garantite le condizioni di sicurezza”. Prende il posto del magistrato dell’antimafia Bernardo Petralia, nominato sotto il governo Conte II

Il Consiglio dei Ministri di ieri, su proposta del Ministro della giustizia Marta Cartabia, ha deliberato la nomina, a decorrere dal 1° marzo 2022, di Carlo Renoldi, magistrato ordinario attualmente Consigliere della Corte di Cassazione, a Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

La scelta la Guardasigilli l’aveva compiuta almeno un mesetto fa, al termine di una lunga rassegna di colloqui e cv. Marta Cartabia aveva individuato in Carlo Renoldi, oggi giudice della prima sezione penale della Cassazione, il nuovo capo del Dap. Già allievo di un altro magistrato che guidò il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Alessandro Margara, Renoldi, 53 anni, nato a Cagliari, dove ha anche lavorato come giudice penale e come magistrato di sorveglianza.

Ha fatto parte dell’ufficio legislativo di via Arenula nel 2013 e ha contribuito a risolvere il caso Torreggiani, quando la Corte dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per il trattamento disumano dei detenuti. Ha fatto parte dell’ufficio studi del Csm per approdare poi alla Suprema corte. Da consigliere di Cassazione è stato relatore ed estensore di sentenze delicate, come quella che apriva ai colloqui via Skype per i mafiosi detenuti al 41bis.

Fa parte della corrente progressista, Area, cartello formato da Magistratura Democratica e Movimento per la Giustizia. Nei suoi scritti passati è possibile rinvenire in nuce tracce del suo programma per i detenuti: “Sono per un carcere costituzionalmente compatibile. Un carcere dei diritti, in cui però siano garantite le condizioni di sicurezza”. Un carcere in cui “il sindacato ha un valore, ma se svolge una pura difesa corporativa e non guarda alla funzione istituzionale, allora diventa una forza che tradisce l’istituzione”.

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