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Cosa bolla in pentola? Il mondo delle conserve di pomodoro replica a Gabanelli

Conserve Di Pomodoro

L’Italia, con una produzione, nel 2020, di 5,2 milioni di tonnellate conserve di pomodoro è il terzo trasformatore mondiale dopo gli USA e la Cina, ma per l’Anicav i media stanno danneggiando il comparto

L’Associazione Nazionale Industriali Conserve Alimentari Vegetali, Anicav, aderente a Confindustria all’attacco dell’informazione: “Nelle ultime settimane stiamo assistendo ad un fuoco di fila, da parte di alcuni media, nei confronti del comparto della trasformazione del pomodoro da industria: parlare in maniera indistinta di frodi, di manodopera schiavizzata non fa che gettare cattiva luce su un intero settore che rappresenta una delle eccellenze dell’agroalimentare italiano nel mondo sia in termini di fatturato che di quantità prodotte e riveste un importante ruolo strategico e di traino dell’economia nazionale”.

Il riferimento non si limita alle accuse di caporalato nei campi che ogni anno, con la bella stagione, tornano prepotentemente al centro della scena, ma anche alla recente inchiesta di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera nata probabilmente a seguito delle diverse truffe scoperte nel settore e localizzate proprio a San Marzano: passate egiziane spacciate per italiane. “Ci chiediamo – replicano da Anicav – a chi giova tutto ciò? Quale vantaggio per gli agricoltori, per le industrie, per i lavoratori e per i consumatori se si scredita, senza motivo, un comparto ingenerando confusione soprattutto sul mercato nazionale?” L’Associazione ricorda che il mondo delle conserve di pomodoro si compone soprattutto “di imprenditori onesti”.

LE ACCUSE DI MILENA GABANELLI

“Possibile che l’Italia – si legge sul Corriere -, da Paese di riferimento mondiale per la produzione e lavorazione del pomodoro, perda ogni anno posizioni? Il secondo posto ci è è appena stato scippato dalla Cina, con 5,8 milioni di tonnellate”. Quindi le accuse cuore dell’inchiesta che non sono andate giù al comparto: “Alla fine il tanto apprezzato pomodoro italiano, unico al mondo per qualità e biodiversità, rischia di trasformarsi in una merce standardizzata, uguale a quella prodotta in Spagna o California. Il boom delle importazioni, soprattutto dalla Cina, mostra l’incapacità del settore di essere autosufficiente. Calano i prezzi, crescono i volumi, crescono le frodi, e cala la reputazione di un marchio insieme a quella dell’intera filiera”.

LE REPLICHE DEL SETTORE DELLE CONSERVE DI POMODORO

“In merito ai fatti di cronaca che negli ultimi due mesi hanno riguardato due aziende del nostro comparto relativamente a presunti illeciti messi in atto – replicano dall’Anicav -, ripetiamo ancora una volta, che si tratta di fatti ancora oggetto di indagine e che comunque comporterebbero responsabilità individuali che non vanno fatte ricadere sull’intero settore”.

“Come Associazione – continuano -, è noto il nostro totale impegno a favore della massima trasparenza a tutela della salute dei consumatori, così come testimoniato nel corso degli anni anche dalle posizioni assunte a sostegno dell’introduzione dell’etichettatura di origine obbligatoria per tutti i derivati del pomodoro e dal lavoro che stiamo portando avanti in sinergia con la Stazione Sperimentale delle Conserve per la caratterizzazione dei macro e micro elementi minerali presenti nel pomodoro finalizzato all’identificazione della zona d’origine dei derivati che, una volta implementato, potrà rappresentare un fondamentale strumento a difesa delle nostre produzioni e a tutela del consumatore finale”.

Per quanto riguarda le importazioni di concentrato, “specifichiamo che l’Italia importa concentrato di pomodoro da diversi mercati quali la Cina, gli USA, la Spagna e il Portogallo e che le importazioni dai due maggiori Paesi produttori, Cina e USA (California), variano in base alle oscillazioni dei tassi di cambio e delle produzioni/sovrapproduzioni interne”.

E, ancora: “Circa il 90% del concentrato importato viene rilavorato dalle nostre aziende e poi riesportato, con la dicitura in etichetta “confezionato in Italia” e non “prodotto in Italia”, verso paesi terzi, prevalentemente nord e west Africa e medio Oriente dove il consumo di questo derivato è molto diffuso”.

“Le importazioni di concentrato di pomodoro – sostiene l’Anicav – non rappresentano un problema particolarmente rilevante per il nostro sistema agricolo e industriale in quanto la concorrenza avviene su livelli diversi. Il pomodoro coltivato in Italia è, per la sua elevata qualità, destinato alle produzioni di maggiore “pregio” – come, ad esempio, i pomodori pelati, prodotto caratteristico delle aziende del Bacino Centro Sud – che l’Industria conserviera, con grandi difficoltà, cerca di vendere (non sempre riuscendo) a condizioni sufficientemente utili a coprire il costo della materia prima”.

Sul piano dei costi,  “non siamo competitivi: produrre concentrato da pomodoro fresco italiano ha dei costi molto elevati, per cui il prodotto finito dovrebbe essere venduto ad un prezzo che la maggior parte dei mercati di destinazione non potrebbe sostenere. Inoltre, nel caso non si rilavorasse più il concentrato in regime di TPA, non ne guadagnerebbe la filiera italiana né aumenterebbero gli ettari messi a coltura in quanto i nostri principali competitors a livello europeo (Spagna e Portogallo) hanno costi inferiori sia sulla materia prima che sul trasporto”.

IL TEMA DEL CAPORALATO AL SUD

“Infine – concludono dall’Associazione – una importante precisazione sulla questione del caporalato: non possiamo in alcun modo accettare che si dichiari, con una certa leggerezza, che la manodopera “al sud continua ad essere schiavizzata”.

“In Italia ormai – viene spiegato – quasi tutto il pomodoro da industria viene raccolto meccanicamente: per il 100% al Nord e per oltre il 90% nel bacino Centro Sud. Si ricorre alla raccolta manuale soltanto in casi particolari, campi con alta presenza di pietrisco di grosse dimensioni e campi collinari con forte pendenza dove le macchine non possono arrivare, situazioni che vengono amplificate a seguito di forti piogge, allorquando l’agricoltore si vede costretto a raccogliere il pomodoro ormai maturo.  La raccolta a mano è utilizzata, inoltre, solo per alcune specifiche produzioni di nicchia, come ad esempio il pomodoro San Marzano DOP”.

“Da anni come ANICAV, nonostante la questione riguardi il mondo agricolo, stiamo portando avanti numerose azioni per contrastare tale fenomeno: diffusione di certificazioni etiche delle aziende agricole ed industriali, sostegno alla rete del lavoro agricolo di qualità, introduzione nei contratti di fornitura del pomodoro dell’impegno della parte agricola a osservare il rispetto delle normative in materia di sicurezza e salute sul lavoro, previdenziale e assistenziale e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, partecipazione al progetto “Fi.Le. – Filiera Legale” a valere sul PON Legalità congiuntamente ai Ministeri dell’Interno e delle Politiche Agricole”.

IL COMPARTO DELLE CONSERVE DI POMODORO TRICOLORE IN NUMERI

Secondo i dati della stessa Anicav, l’Italia, con una produzione, nel 2020, di 5,2 milioni di tonnellate di pomodoro trasformato, è il terzo trasformatore mondiale dopo gli USA e la Cina. Da solo rappresenta il 13% della produzione mondiale e circa il 53% del trasformato europeo ed è il primo Paese produttore ed esportatore di derivati del pomodoro destinati direttamente al consumatore finale che rappresentano l’emblema della cucina italiana nel mondo. Da oltre dieci anni le aree investite a pomodoro da industria oscillano tra i 65 e 70 mila ettari e il prezzo per la materia prima pagato agli agricoltori dalle nostre aziende è il più alto al mondo, in particolare nel bacino Centro Sud. Pelati, passate, polpe e pomodorini che troviamo sugli scaffali dei nostri supermercati sono ottenuti da materia prima di alta qualità 100% italiana. O così almeno sostiene la filiera, vedremo se Milena Gabanelli replicherà.

 

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