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Democrazia diretta e scelte interne, se la confusione nel M5S regna sovrana
Di Maio si affida alla base M5S su Rousseau per il futuro del suo ruolo da capo politico, Paragone consegna le sue dimissioni da senatore a Di Maio invece che al Senato. I grillini hanno un problema con i meccanismi democratici interni. Il caos più totale all’indomani del risultato deludente alle elezioni europee
Luigi Di Maio è stato incoronato capo politico del Movimento 5 Stelle da Beppe Grillo. Correva l’anno 2017, era il 24 settembre ed il parlamentare di Pomigliano d’Arco fu preferito, tra non pochi mal di pancia ad Alessandro Di Battista e Roberto Fico. Il primo preferì non ricandidarsi al Parlamento per il vincolo dei due mandati – aspettando fermo un giro dopo il quale poter rientrare – e il secondo, invece, oggi siede sullo scranno più alto di Montecitorio, da sempre considerato capo dell’ala ortodossa del movimento della prima ora.
L’ANNUNCIO POST-EUROPEE
All’indomani delle elezioni europee, il 27 maggio, Di Maio, alla luce del risultato molto deludente del movimento che guida, ha dichiarato prima che nessuno dei big dei pentastellati, alludendo a Di Battista e Fico (ma anche a Grillo e Davide Casaleggio) ha chiesto le sue dimissioni. Dopo neanche 48 ore, prevenendo le critiche infuocate che gli muoveranno i gruppi parlamentari grillini, lo stesso Di Maio annuncia che sarà la base del Movimento 5 Stelle su Rousseau con un referendum a decidere se debba restare o no il capo politico del movimento.
PROBLEMA CON IL CONCETTO DI DEMOCRAZIA
È evidente che il Movimento 5 Stelle non ha solo un problema elettorale di emorragia di voti, ma ha anche un problema con il concetto di democrazia interna e di democrazia diretta. Proviamo a fare ordine: a Rimini, nel 2017, quando si è trattato di scegliere il capo politico, il Movimento si è affidato alle doti taumaturgiche dell’allora garante, Beppe Grillo (assecondato anche da Davide Casaleggio, il cui ruolo nel Movimento non è mai stato definito) e oggi, per ridefinire quel ruolo e prevenire una verifica interna a cura dei gruppi parlamentari lo stesso Di Maio si affida alla democrazia diretta della base grillina che vota su una piattaforma, Rousseau, molto discutibile e già discussa (in fatto di sicurezza, privacy, tanto per citare alcuni punti problematici).
LA CONFUSIONE REGNA SOVRANA
Insomma, la confusione sul metodo per effettuare la scelta democratiche interne che siano sui programmi o sulle cariche permane. Così come dimostra anche il caso di Gianluigi Paragone. Che dopo le critiche a Di Maio per i troppi incarichi che ricopre a livello governativo (Vice presidente del Consiglio, Ministro del Lavoro e ministro delle Attività Produttive), causa a suo dire del risultato perdente alle elezioni europee, ha annunciato che si dimetterà da senatore, affidando le sue dimissioni al capo politico del Movimento, cioè Di Maio. Il quale però si affida anch’egli alla base di Rousseau sul suo futuro di capo politico. Una volta le dimissioni da senatore si affidavano alla Camera di appartenenza, così come prevede la Carta costituzionale. Ma i capi del Movimento, prima Grillo e ora Di Maio pare abbiano doti taumaturgiche. Brutti scherzi di un concetto fumoso e caotico della democrazia diretta. Un vero e proprio patatrac.