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Tap, decreto sicurezza, condono ad Ischia. Tutti i nodi al pettine di Luigi Di Maio

Tensioni M5s

Il capo politico del M5S Luigi Di Maio, raggiunto da Policy Maker, minimizza. Ma la base (e alcuni parlamentari) rumoreggia. L’articolo di Alberto Ferrarese

Poco prima delle 13 Luigi Di Maio esce a piedi dal portone posteriore di Palazzo Chigi. Insieme a Pietro Dettori, uomo chiave del M5S molto vicino a Davide Casaleggio, attraversa piazza del Parlamento e si infila nel ristorante dove spesso si ferma a pranzo. È uno dei momenti più difficili da quando Di Maio è capo politico del Movimento 5 Stelle e vicepremier: la Puglia è in rivolta per il via libera al Tap, la base rumoreggia, tra i parlamentari aumentano le voci di chi chiede una correzione di rotta. All’uscita incrocia Policy Maker, ma dei 5 Stelle ha poca voglia di parlare. “Nulla di diverso da quello che succede sempre nel Movimento”, taglia corto. Ma la realtà è che i fronti aperti sono molti e lo stesso Beppe Grillo si è fatto sentire per avere informazioni. Questa sera Di Maio riunirà i gruppi, per tentare di ricompattare il suo esercito prima che entrino nel vivo i lavori parlamentari sugli atti più significativi dell’esecutivo Conte. “Il problema – spiega una fonte di governo M5S – è che non si tratta di difficoltà contingenti. La verità è che i nodi stanno venendo al pettine, sia all’interno del Movimento che nei rapporti con la Lega. E affrontarli ora, al governo, è molto complesso”.

TUTTA COLPA DEL TAP

Per il Movimento 5 Stelle la questione Tap è stata un bagno di sangue. Che bloccare l’opera fosse affare complicatissimo lo si sapeva da sempre, ma nonostante questo in campagna elettorale Alessandro Di Battista era arrivato a dire che “lo blocchiamo in 15 giorni”. E invece, alla fine dell’analisi costi-benefici che Conte cita sempre, è stato detto che la marcia indietro non si può fare. “Abbiamo sbagliato – ammette un pentastellato -. Ci siamo fatti travolgere dalla rabbia senza governare le prevedibili proteste. Da un giorno all’altro siamo passati dal dire ‘lo possiamo fermare’ a essere completamente spariti. La comunicazione non ha funzionato: avremmo dovuto preparare il terreno. La reazione ci sarebbe stata comunque, ma forse sarebbe stata meno potente”. Per questo, sulla Tav, si cerca di non ripetere lo stesso errore. In questa direzione vanno l’atto approvato ieri dal Consiglio comunale di Torino, ma anche le dichiarazioni di Danilo Toninelli e Di Maio, che puntano a trattare con la Francia. L’obiettivo è che se non si potrà fermare l’opera, almeno si dovrà mostrare di aver fatto tutto il possibile.

IN ATTESA DEL 5 NOVEMBRE

In questa situazione di difficoltà si avvicinano alcune scadenze delicatissime in Parlamento, dove domani arriverà la Manovra. Le difficoltà principali potrebbero riguardare il decreto sicurezza, in aula al Senato dal 5 novembre. Matteo Salvini ha chiesto garanzie che non ci siano scherzi su un provvedimento che per il Carroccio è fondamentale. A Palazzo Madama i giallo-verdi sono 6 voti sopra la maggioranza assoluta. I ‘dissidenti’ sono quattro: Gregorio De Falco, Elena Fattori, Matteo Mantero e Paola Nugnes, che ha già annunciato il suo voto contrario. Ma i ‘malpancisti’ secondo fonti pentastellate, potrebbero essere una decina, che potrebbero magari venire fuori nel voto segreto sull’eventuale (e possibile) voto di fiducia. L’approvazione del dl non sarebbe a rischio, anche perchè arriverebbe il soccorso di Fratelli d’Italia, ma la sconfitta politica sarebbe bruciante.

INFINE IL DL FISCALE

E poi c’è la questione del decreto fiscale. Di Maio cerca una tregua con Carla Ruocco che la scorsa settimana, insieme al senatore Elio Lannutti, aveva dato voce al dissenso, chiedendo di cancellare quelle norme che non sono in linea con i “valori” originari del Movimento. Come segno di buona volontà il capo politico del Movimento sostiene per la presidenza della Consob Marcello Minenna, caldeggiato dalla stessa Ruocco. Ma non è detto che basti, anche perché tra dl fiscale, manovra e collegati i punti di tensione con gli alleati leghisti possono essere molteplici.

Sullo sfondo c’è poi la data del 10 novembre, giorno della sentenza nel processo a carico di Virginia Raggi. Se la sindaca fosse condannata e si dimettesse, si aprirebbe un nuovo, grave, problema politico nel Movimento e forse anche nel rapporto con la Lega.

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