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Le contraddizioni di Enrico Letta

Letta

Le capriole di Enrico Letta in questa prima parte di campagna elettorale

Enrico Letta sembra vivere di contraddizioni.

La prima? Ha cercato di creare un’alleanza che comprendesse sia il “draghiano” Carlo Calenda” sia gli antidraghiani Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni.

Il segretario del Pd aveva la necessità di creare un “campo largo” che, dopo la rottura con il Movimento Cinquestelle di Giuseppe Conte, si era fatto decisamente più stretto. E, poi, non solo Calenda, non ha mai capito la scelta di non stringere un’alleanza col M5S in quanto artefice della caduta di Draghi, ma di imbarcare invece, Verdi e Sinistra Italiana che sono sempre stati all’opposizione del governo uscente e che hanno votato contro l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. Letta sembra, dunque, aver fallito nel tentativo di creare un fronte quanto più ampio possibile contro la destra sovranista di Giorgia Meloni. E, anche qui, non mancano le contraddizioni. Il segretario del Pd, infatti, ha avuto un atteggiamento ambiguo nei confronti del leader di Fratelli d’Italia. Prima della campagna elettorale, la Meloni, per Letta rappresentava l’avversario da legittimare e con cui dialogare in ogni occasione, da Atreju alle presentazioni di libri ai convegni di vario ordine e genere. Una volta iniziata la campagna elettorale, è iniziata la campagna di discredito della Meloni che, ora, viene dipinta come una pericolosa fascista.

Letta, si è poi incartato con le candidature.

In ogni uscita pubblica, continua a rivendicare il fatto di essere stato l’unico segretario ad aver presentato e fatto votare le candidature dalla direzione nazionale del suo partito. La corrente di Base Riformista, però, non ha partecipato alla votazione perché Luca Lotti non è stato ricandidato. E non è l’unico. Anzi, la maggior parte degli ex renziani sono stati epurati oppure candidati in collegi assai difficili come Emanuele Fiano o Filippo Sensi. Giuditta Pini e Fausto Raciti, esponenti dei Giovani Turchi, spesso critici nei confronti della linea seguita dal partito, non sono stati nemmeno ricandidati. Quel voto, poi, è arrivato nella notte di Ferragosto, dopo averlo rinviato per tre o quattro volte nell’arco dell’intera giornata. E le polemiche per la posizione in lista di Monica Cirinnà, mentre soltanto ieri, è arrivata la conferma che il deputato Stefano Ceccanti è riuscito a conservare il suo seggio a Pisa, che era stato inizialmente destinato al segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni a cui era stato inizialmente preservato proprio quel collegio. Ceccanti, Cirinnà e Fiano, oltretutto, rappresentano di tre culture molto importanti in una campagna elettorale: quella cattolica, quella laica vicina al mondo Lgbt e quella ebraica. Tre mondi ai quali il Pd non sembra aver dato la giusta considerazione. Poi ci sono i giovani scelti come capilista. Quattro rampanti under 35, diventati ben presto dopo il ritiro del lucano Raffaele La Regina, finito nel tritacarne dei media per alcuni post contro Israele. Il Pd lo ha rimpiazzato con Enzo Amendola, sottosegretario alle Politiche Ue che, secondo una buona parte dei democratici e degli osservatori politici, era stato relegato in una posizione non eleggibile. Anche la trevigiana Rachele Scarpa è finita nell’occhio del ciclone per alcuni post critici nei confronti di Letta per le sue posizioni pro-Israele, mentre il segretario cittadino del Pd di Napoli, Marco Sarracino, si è dovuto affrettare a chiudere il suo profilo Instagram dopo essere stato criticato per un post inneggiante alla Rivoluzione bolscevica del 1917.

La campagna elettorale sembra non decollare nemmeno dal punto di vista comunicativo e mette in luce un’altra contraddizione. Se è fondamentare battere la Meloni e il centrodestra perché enfatizzare l’obiettivo di far arrivare il Pd primo anziché puntare sulla vittoria del centrosinistra? E siamo proprio sicuri che innescare una polemica sul simbolo di Fratelli d’Italia interessi minimamente agli elettori che o sono in ferie oppure sono preoccupati della crisi economica?

Anche il video diffuso in tre lingue successivamente a quello della Meloni è stato interpretato come un andare a rimorchio dell’avversario. Ripetere costantemente che il Pd deve arrivare primo partito significa implicitamente non credere alla vittoria dell’intera coalizione e dà la sensazione di un continuo inseguimento dell’avversario. Insomma, questo primo scampolo di campagna elettorale non sembra essere iniziato sotto i migliori auspici. Se, poi, lo scopo dell’iniziale idillio con la Meloni era quello di delegittimare Matteo Salvini e ‘scegliersi’ come la leader di Fdi come leader dell’intero centrodestra così da poter puntare l’intera campagna elettorale sull’ antifascismo, allora può dirsi fallito. O meglio, almeno stando ai sondaggi, la carta dell’antifascismo non sta funzionando. Letta, infine, sembra a rimorchio della Meloni. Lei fa un video in tre lingue e lui fa altrettanto per screditarla. Lei fa un altro video per promuovere lo sport come strumento di contrasto alle devianze e lui twitta: “W le devianze”. Lei posta un video di uno stupro e lui, che dovrebbe rappresentare il partito più femminista nel panorama politico, critica lei anziché condannare prioritariamente la violenza sessuale. Un’altra evidente contraddizione del leader dei democratici che non riesce a dettare l’agenda politica.

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