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L’importanza degli anticorpi monoclonali nella lotta al Covid
Una nuova sinergia tra infettivologi, medici di famiglia, farmacisti ospedalieri pone al centro gli anticorpi monoclonali. Tra questi, sotrovimab si conferma efficace anche contro la variante Omicron
Se ne è parlato soprattutto all’inizio della pandemia: gli anticorpi monoclonali sembravano l’arma più efficace per combattere l’avanzata del Covid. E l’Italia, in tutto questo, grazie al team senese del professor Rino Rappuoli, pareva capofila. Poi però gli anticorpi monoclonali sembrano essere spariti dai radar. Ma qual è il loro ruolo in questa battaglia al Coronavirus? Lo possiamo evincere dal documento “SARS-COV-2: diagnosi precoce e migliore accesso alle cure per i pazienti fragili. La necessità di una coalizione tra medicina di territorio e centri specialistici” redatto e sottoscritto da SIMIT – Società Italiana di malattie Infettive e Tropicali, SIMG – Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie, SIFO – Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e con il contributo dell’On. Ianaro (XII Commissione della Camera dei Deputati della Repubblica) e di Cittadinanzattiva.
QUANTI SONO GLI ANTICORPI MONOCLONALI?
A disposizione vi sono diversi tipi di anticorpi monoclonali e proprio recentemente AIFA ne ha approvati di nuovi, tra cui il sotrovimab, sviluppato da GlaxoSmithKline in collaborazione con Vir Biotechnology, che ha già dimostrato di mantenere l’attività contro tutte le mutazioni note combinate della variante Omicron. Rispetto ai suoi predecessori, sotrovimab ha un’emivita maggiore e una distribuzione a livello polmonare migliorata, ed è stato specificatamente approvato per il trattamento precoce dell’infezione con alto rischio di ospedalizzazione.
Lo studio registrativo di fase III sul sotrovimab è stato sospeso per evidente efficacia, avendo infatti determinato la riduzione dell’85% delle ospedalizzazioni o dei decessi. L’aggiungersi di nuove opzioni rappresenta un miglioramento qualitativo oltre che naturalmente un incremento quantitativo: costituiscono una risorsa di fronte al moltiplicarsi delle varianti e uno strumento di medicina di precisione a seconda delle diverse fragilità.
“Per cogliere l’obiettivo di arrivare ad un rapido indirizzo dei pazienti alla terapia (prima si somministrano gli anticorpi monoclonali e migliore è la probabilità di successo), i medici di famiglia della SIMG insieme agli infettivologi della SIMIT e ad altri specialisti hanno elaborato un progetto per identificare i pazienti vulnerabili e fragili al fine di avviare un percorso fast-track verso i centri di riferimento, che non sono solo i centri di malattie infettive, ma negli ospedali più piccoli sono i presidi di Pronto Soccorso, i reparti di Medicina Interna o di Pneumologia – evidenzia Pierangelo Lora Aprile, Segretario Scientifico SIMG – Attualmente, infatti, gli anticorpi monoclonali possono essere somministrati solo in ospedale, da personale adeguatamente formato, poiché occorre una infusione endovenosa di un’ora e a seguire una fase di osservazione per rilevare eventuali reazioni avverse”.
COME FUNZIONANO GLI ANTICORPI MONOCLONALI NELLA LOTTA AL VIRUS
Gli anticorpi monoclonali dovrebbero essere utilizzati entro 3-5 giorni dalla comparsa dell’infezione. Servono ad evitare che la patologia degeneri nelle sue forme più gravi: in più del 95% dei casi sono in grado di bloccare l’evoluzione del quadro. Differiscono dai vaccini in quanto sono anticorpi costruiti in vitro e sono attivi in maniera molto selettiva nei confronti del virus, riconoscendo un antigene specifico della proteina spike contro cui sono diretti, mentre il vaccino deve determinare una risposta anticorpale all’interno del nostro organismo.
“L’impiego degli anticorpi monoclonali ormai è una realtà consolidata nel trattamento delle fasi precoci dell’infezione in quei soggetti che presentano un alto rischio di sviluppare una progressione severa della malattia – spiega il Prof. Claudio Mastroianni, Presidente SIMIT – Fondamentale è la somministrazione precoce che deve avvenire preferibilmente entro 3-5 giorni dall’esordio dei sintomi. Gli anticorpi monoclonali rappresentano una terapia dal grande impatto nell’evitare l’ospedalizzazione, una delle conseguenze più devastanti del Covid. Una strategia di possibile futura applicazione è l’impiego come profilassi pre- e/o post-esposizione in soggetti che non hanno completato il ciclo di vaccinazione o che si prevede che non sviluppino una adeguata risposta immunitaria al vaccino, come gli immunodepressi”.
QUANDO SI USANO?
L’uso degli anticorpi monoclonali riguarda i pazienti non ospedalizzati, maggiori di 12 anni, non in ossigeno terapia e che presentino un rischio di malattia severa. “Sono stati definiti dalle Autorità Sanitarie le condizioni cliniche che deve presentare il malato di SARS-COV 2 per avere diritto alla terapia con anticorpi monoclonali. E’ cruciale individuare tempestivamente questi soggetti e avviarli con procedure fast track presso i centri di riferimento – sottolinea Pierangelo Lora Aprile – – Il Medico di Medicina Generale può immediatamente verificare se il malato con sospetto di malattia SARS-COV 2 è compreso tra i soggetti vulnerabili e/o fragili. La vulnerabilità si riferisce ad una condizione di rischio per la specifica malattia SARS COV-2, mentre la fragilità è legata alla presenza di deficit multipli che condizionano in generale un maggior rischio nel caso di malattia. SIMG, attraverso la sua Scuola di Ricerca ha elaborato indicatori di vulnerabilità e di fragilità (HS Vulnerability Index- HX Frailty Index) che rendono più agevole la identificazione dei soggetti a cui prestare la massima attenzione e nel caso di accertata infezione da COVID verificare la presenza dei requisiti necessari per accedere le cure. Al rapido controllo dei pazienti deve poi seguire un immediato accesso ai centri di riferimento sul territorio. Lo specialista responsabile dovrà definire, secondo le caratteristiche del paziente, la terapia migliore e avviare il trattamento necessario in quella determinata circostanza”.