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Afghanistan, cosa si può imparare dall’annuncio della Trenta

Giornalisti Afghanistan

Il commento del Professor Michele Nones, consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali, sull’annuncio da parte del ministro Trenta dell’avvio della pianificazione del ritiro delle nostre Forze Armate dall’Afghanistan 

I corti circuiti nel nostro scenario politico si stanno verificando con una crescente frequenza e richiedono il continuo lavoro dei numerosi ‘elettricisti’ chiamati a ripristinare il funzionamento del nostro sistema. Vi sono chiaramente falli volontari che, nei casi più gravi ed urgenti, rendono necessario l’intervento istituzionale di quanti sono chiamati a garantirlo (compresa la magistratura). Negli altri casi si deve sperare che alla fine siano gli elettori ad esprimersi. Ma vi possono essere anche falli involontari, dettati dall’inesperienza e dalla scarsa conoscenza delle regole del gioco. Sarebbe auspicabile potere pensare che l’annuncio da parte del ministro della Difesa Elisabetta Trenta dell’avvio della pianificazione del ritiro delle nostre Forze Armate dall’Afghanistan rientri in quest’ultima ipotesi.

L’Italia partecipa a numerose missioni internazionali che prima o poi termineranno e nuove altre potranno coinvolgerci in futuro. È giusto ed opportuno domandarsi perché lo facciamo, non solo al momento della partenza, ma in modo sistematico lungo tutto il percorso. Non basta ripetere che vogliamo tutelare direttamente o indirettamente i nostri interessi nazionali. Questi vanno costantemente verificati e poi declinati e spiegati all’opinione pubblica e ai suoi rappresentanti parlamentari. Troppo spesso si è data, invece, l’impressione che alcune missioni proseguissero per inerzia, a volte cambiando obiettivi e modalità. E, a volte, nascondendo all’opinione pubblica che cosa si sta facendo realmente (basti pensare alle polemiche di tre mesi orsono sulla presentazione dello spot istituzionale incentrato sulle missioni svolte dalle Forze Armate).

Può, quindi, essere utile aprire una riflessione sulla procedura decisionale che dovrebbe essere seguita in questi casi, a differenza di quanto si è verificato negli scorsi giorni.

INSEGNAMENTI PER IL FUTURO

Alcune osservazioni a partire dalle modalità dell’annuncio dell’avvio della pianificazione del ritiro dall’Afghanistan:

  1. La nostra partecipazione alle missioni internazionali (indipendentemente da chi le guida) fa parte della nostra politica estera e, in particolare, europea (perché vi sono sempre coinvolti altri nostri partner). Ogni decisione dovrebbe essere affrontata attraverso un riservato confronto fra Difesa ed Esteri, fra i quali vi è già da tempo un tavolo di coordinamento che si riunisce periodicamente.
  2. Se vengono ipotizzate variazioni in positivo o negativo di queste operazioni militari, la discussione dovrebbe coinvolgere riservatamente le Organizzazioni internazionali (Nato ed Ue) che le gestiscono e i Paesi che vi partecipano, perché va sempre salvaguardata la solidarietà comune.
  3. Si dovrebbe, inoltre, coinvolgere riservatamente il Governo del Paese interessato per il cui supporto spendiamo le nostre risorse umane (accettando rischi per la vita e l’incolumità dei nostri militari) e finanziarie.
  4. Nel frattempo, il ministro della Difesa dovrebbe dare riservatamente indicazioni al capo di Stato Maggiore della Difesa affinché sia avviata, attraverso il Coi, la pianificazione delle attività volte a modificare o terminare la nostra missione.
  5. Una volta raggiunta una posizione comune dei ministri della Difesa e degli Esteri, mentre Smd adotta le necessarie misure per assicurare la sicurezza del personale militare e civile impegnato nella missione, la proposta, approvata dal Governo, dovrebbe essere portata in Parlamento, informandolo opportunamente su tutte le implicazioni che ne derivano, ma senza pubblicizzare tempi e modalità per tutelare meglio gli uomini e le donne sul campo.
  6. A partire dalla sua approvazione, dovrebbe iniziare l’operazione, sempre salvaguardandone al massimo la riservatezza.

I RISCHI DELL’IMPROVVISAZIONE

Se questa sequenza non viene rispettata, il Paese rischia di pagarne le conseguenze:

  1. La prima sul piano dell’affidabilità che rappresenta un punto di forza per i Paesi che vogliono contare sullo scenario internazionale. Per quanto riguarda i partner, come ci si può fidare di un Paese che decide isolatamente il ritiro da una missione comune? Purtroppo lo fanno spesso gli Stati Uniti, ma, data la loro importanza, nessun Paese alleato può permettersi di andare al di là di una qualche critica. Quando lo hanno fatto singoli Paesi europei, ci sono voluti anni per farlo dimenticare. Per quanto riguarda i Paesi in cui si interviene, come si può pensare di mantenerne la fiducia? Spesso governi e popolazioni locali si sono fidati delle promesse iniziali e si sono esposti (basti pensare agli oppositori siriani del regime di Assad o ai curdi in Iraq): un ritiro a freddo significa rinnegare gli impegni assunti e abbandonarli a qualsiasi destino.
  2. La seconda sul piano della tenuta morale del personale impegnato e della sua sicurezza. Uscire di scena improvvisamente dà l’impressione che in realtà la decisione poteva essere presa anche in precedenza. Peggio ancora, come lo si spiegherà a quanti dovessero essere feriti o morire in questa delicata fase in cui tutto prosegue come prima, ma il ritiro è stato annunciato al mondo e anche agli insorgenti e ai terroristi? Una guerra ibrida comporta che non si ha di fronte un esercito regolare che, firmato l’armistizio o la resa, può impegnarsi a consentire un pacifico rientro in patria: si hanno di fronte gruppi e bande autonome, a volte in contrasto fra di loro, e restano alti i rischi che qualcuno possa tentare un atto di forza per aumentare la sua visibilità ed influenza. Oltre a tutto, nel caso afghano il ritiro dovrà avvenire per via aerea e richiederà un lungo tempo, noleggiando aerei da trasporto che non abbiamo.
  3. La terza sul piano della costruzione di una cultura della sicurezza e della difesa nel nostro Paese. La nostra opinione pubblica non è mai stata seriamente formata e informata sul significato e sulle caratteristiche delle missioni internazionali. Decidere con improvvisazione di partire o di tornare contribuisce a far credere che ci siano motivazioni e interessi politici interni o di semplice visibilità. Bisognerebbe, invece, fare crescere la consapevolezza che il mondo sta diventando sempre più complesso e interconnesso e che contribuire a spegnere l’incendio dove inizia è il miglior modo per impedire che divampi e rischi di arrivare anche in casa nostra.

 

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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