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Aperture domenicali, Nomisma fa i conti e l’Anci chiede deroghe

Con il nuovo testo del provvedimento si rischia una perdita di 4,6 mld per lo Stato e fino a 41mila posti di lavoro in meno. L’Associazione dei Comuni italiani chiede più deroghe per città d’arte e turistiche

Tra i tanti pro e contro alla revisione della liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi c’è pure chi comincia a calcolare le eventuali perdite di un settore, quello del commercio, che oggi vale l’8% del Pil nazionale. Per un totale di 139,1 miliardi. A fare i conti in tasca all’Erario ci ha pensato Nomisma, la società di ricerca e consulenza economica presieduta da Piero Gnudi, con uno studio che sarà presentato a giugno ma di cui ha dato parzialmente conto il presidente del Consiglio nazionale dei centri commerciali (Cncc), Massimo Moretti, durante un’audizione informale in commissione Attività produttive della Camera di cui ha dato conto Il Sole 24 Ore. Intanto l’Associazione dei Comuni italiani torna sull’argomento dopo il testo di sintesi scritto dal relatore del provvedimento, Andrea Dara (Ln): ok alla chiusura degli esercizi commerciali in 26 domeniche su 52 ma si prevedano più deroghe per città d’arte e turistiche.

LO STUDIO DI NOMISMA

Lo studio di Nomisma prende in considerazione la situazione che si creerebbe se si approvasse l’attuale testo con 26 chiusure domenicali su 52 cui si aggiungono 12 festività nazionali. Lo Stato perderebbe ben 4,6 miliardi di introiti, composti per 2,5 miliardi di imposte indirette e per 2,1 miliardi di imposte dirette. A questo elemento negativo ne andrebbe aggiunto pure un altro e cioè il taglio occupazionale che, sempre secondo Nomisma, potrebbe arrivare fino a 41mila posti di lavoro in meno nei centri commerciali. C’è da precisare che la stima tiene in considerazione solo gli occupati diretti e non quelli indiretti e dell’indotto. A soffrire, ovviamente, sarebbero pure i centri commerciali che sconterebbero un minor fatturato per 12,8 miliardi (il 18%) cui andrebbero sommati effetti indiretti e nell’indotto per altri 12,1 miliardi.

LE RICHIESTE DELL’ANCI

Nei giorni precedenti una memoria era stata depositata in commissione Attività produttive e illustrata dal sindaco di Mola di Bari Giuseppe Colonna. In essa l’Anci chiede che venga rispettata “la potestà regolamentare dei livelli istituzionali più prossimi all’impresa, ossia il Comune, nell’ambito di limiti certi e parametri di riferimento chiari, definiti dalla legge nazionale”. Per questo l’associazione invita il Parlamento a “riprendere in considerazione le peculiarità” dei Comuni più spiccatamente turistici “anche in termini di opzioni relative alle deroghe, dando maggiore margine di manovra all’ente locale”.

Del resto, si legge ancora nella memoria, “la liberalizzazione degli orari” ha comportato “una serie di modificazioni nelle abitudini quotidiane, nell’organizzazione del lavoro, dei trasporti, ecc. che hanno inciso profondamente sul funzionamento e sulla vivibilità delle città, a prescindere dalla loro dimensione”. Per questo, l’Anci domanda che nel provvedimento, che diventerà legge, si “identifichi una cornice di riferimento e dei limiti flessibili entro i quali gli Enti locali possano prevedere delle regolamentazioni di dettaglio in grado di adattarsi alle esigenze dei singoli territori”.

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