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Assegno unico, si taglia o no? Ecco perché Roccella punta il dito contro l’Ue
Il governo smentisce l’ipotesi di tagli all’assegno unico familiare. La ministra della Famiglia ricorda le difficoltà dovute alla procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea
L’assegno unico per i figli sarà tagliato oppure no? Questo è il nuovo tema di dibattito politico di questa ennesima torrida giornata agostana, dopo l’allarme lanciato da Repubblica in prima pagina. Ipotesi smentita in mattinata dal Mef.
Come stanno davvero le cose? In un certo senso lo fa capire la stessa ministra con delega alla Famiglia, Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, puntando il dito contro l’Unione europea. Ma andiamo con ordine.
SECONDO REPUBBLICA L’IDEA E’ TAGLIARE ALLE FAMIGLIE SENZA ISEE O SOPRA I 45 MILA EURO
Secondo Repubblica il governo starebbe lavorando al cambiamento dell’assegno unico per i figli, introdotto dall’esecutivo Draghi nel 2021. La misura vale circa 20 miliardi e riguarda ogni anno oltre sei milioni di famiglie e 10 milioni di figli. Il quotidiano diretto da Molinari sostiene che l’idea sarebbe quella di tagliare l’assegno base da 57 euro a figlio che oggi va alle famiglie che non presentano l’Isee o ne hanno uno troppo alto, sopra i 45mila euro. Questo per spostare più risorse alle famiglie molto numerose, con disabili, con una storia di lavoro radicata in Italia.
MEF: “SENZA FONDAMENTO IPOTESI TAGLI AD ASSEGNO UNICO
A smentire l’indiscrezione di Repubblica ci pensa a metà mattinata il Ministero dell’Economia e delle Finanze, derubricando come “fantasiosa e senza alcun fondamento l’ipotesi di tagli agli assegni per i figli in vista della prossima manovra”.
ROCCELLA PUNTA IL DITO CONTRO LE RICHIESTE DELL’UNIONE EUROPEA
Argomenta meglio la ministra Roccella, sottolineando come il governo Meloni “anzi ha aumentato” l’assegno unico e “ne ha corretto alcune criticità”. Di contro, puntualizza, “sarebbe giusto informare i cittadini e aprire il dibattito con l’opposizione sulle richieste della Ue” considerato che “ha aperto sul provvedimento una procedura di infrazione”.
PERCHE’ L’UE HA AVVIATO UNA PROCEDURA DI INFRAZIONE CONTRO L’ITALIA
La Ue, spiega la stessa ministra Roccella, “chiede di cancellare completamente il requisito della residenza in Italia (attualmente di due anni) per i percettori dell’assegno non lavoratori, e anche quello della durata del rapporto di lavoro (attualmente di almeno 6 mesi), e addirittura di riconoscere l’assegno anche a chi ha figli residenti all’estero. Non servirebbe più quindi vivere nel nostro Paese, ma basterebbe lavorarci anche solo per un giorno per fruire del contributo” sottolinea Roccella.
LA NOTA DELLA COMMISSIONE UE SULL’ASSEGNO UNICO DELL’ITALIA
A cosa si riferisce la ministra? Alla decisione adottata lo scorso 25 luglio dalla Commissione europea di deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’Unione europea “per il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori mobili di altri Stati membri dell’UE in relazione alle prestazioni familiari loro concesse, che costituisce – spiegava in una nota la stessa Commissione – una discriminazione e viola il diritto dell’UE in materia di coordinamento della sicurezza sociale (regolamento (CE) n. 883/2004) e di libera circolazione dei lavoratori (regolamento (UE) n. 492/2011 e articolo 45 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea)”.
PER LA COMMISSIONE IL REGIME DELL’ITALIA INCOMPATIBILE CON IL DIRITTO UE
Nel marzo 2022 l’Italia ha introdotto un nuovo regime di assegni familiari per figli a carico (“Assegno unico e universale per i figli a carico”), in base al quale i lavoratori che non risiedono in Italia per almeno 2 anni o i cui figli non risiedono in Italia non possono beneficiare della prestazione.
La Commissione ha ritenuto “che tale regime non sia compatibile con il diritto dell’UE in quanto costituisce una discriminazione nei confronti dei lavoratori mobili dell’UE. Uno dei principi fondamentali dell’UE è quello della parità di trattamento delle persone, senza distinzioni basate sulla nazionalità. Secondo questo principio di base, i lavoratori mobili dell’UE che contribuiscono allo stesso modo al sistema di sicurezza sociale e pagano le stesse tasse dei lavoratori locali hanno diritto alle stesse prestazioni di sicurezza sociale”.
In base al principio della parità di trattamento, spiegava ancora la Commissione europea, “i lavoratori mobili dell’UE che lavorano in Italia ma non sono residenti in Italia, quelli che si sono trasferiti solo di recente in Italia o quelli i cui figli risiedono in un altro Stato membro dovrebbero beneficiare delle stesse prestazioni familiari concesse agli altri lavoratori in Italia. Inoltre il principio dell’esportabilità delle prestazioni previsto nel regolamento relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale vieta qualsiasi requisito di residenza ai fini della percezione di prestazioni di sicurezza sociale quali le prestazioni familiari”.
LE TAPPE CHE HANNO PORTATO ALLA PROCEDURA DI INFRAZIONE SULL’ASSEGNO UNICO
La Commissione ha inviato una lettera di costituzione in mora all’Italia nel febbraio 2023, cui ha poi fatto seguito un parere motivato nel novembre 2023. Poiché la risposta dell’Italia non ha tenuto sufficientemente conto dei rilievi della Commissione, quest’ultima ha deciso di deferire il caso alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
IL CONTESTO E I RIFERIMENTI NORMATIVI ALLA BASE DELLA DECISIONE DELL’UE
L’articolo 45 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) vieta la discriminazione dei cittadini dell’UE, a motivo della loro cittadinanza, in un altro Stato membro dell’Unione per quanto riguarda l’accesso all’impiego e le condizioni di lavoro. Tale disposizione del trattato è ulteriormente dettagliata nel regolamento (UE) n. 492/2011 relativo alla libera circolazione dei lavoratori, il cui articolo 7, paragrafo 2, specifica che i lavoratori mobili dell’UE dovrebbero beneficiare degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali. Sono ivi comprese le prestazioni familiari.
Infine, a norma del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, i lavoratori mobili dell’UE dovrebbero essere trattati allo stesso modo dei cittadini dello Stato membro in cui lavorano e hanno diritto allo stesso livello di prestazioni familiari, anche per i figli a carico che risiedono in modo permanente in un altro Stato membro.
ROCCELLA: “DA RICHIESTE UE RISCHIO EFFETTO DOMINO SU CONTI PUBBLICI”
Per la ministra Roccella “queste modifiche, già pesanti per l’equilibrio dei conti dello Stato, avrebbero ulteriori implicazioni potenziali che andrebbero ben oltre quelle immediate, e per via giudiziaria potrebbero portare a un effetto domino incontrollabile. Dopo quello che è accaduto con il superbonus edilizio, che è arrivato a pesare sull’Italia per l’equivalente di venti finanziarie, è un’esperienza che sarebbe consigliabile non replicare”. Per concludere che il governo Meloni “non sottrarrà mai un solo euro alle famiglie, nei confronti delle quali il nostro impegno resta prioritario e trasversale a tutti i ministeri”.