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Aumento Iva? Le ipotesi al vaglio e le reazioni

Cosa succederà in caso di aumento delle aliquote Iva nel 2020. Le preoccupazioni di Istat, Confcommercio e Cgia mentre Di Maio e Salvini “smentiscono” Tria


La sconfitta è sempre orfana ma pure l’aumento dell’Iva sta cercando affannosamente suo padre. Il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, durante l’audizione in commissioni riunite Bilancio sul Def è stato di una limpidezza cristallina: “In attesa di alternative l’aumento dell’Iva è confermato”. Un’affermazione che ha fatto infuriare i due azionisti di governo con i due vicepresidenti del Consiglio, Luigi di Maio e Matteo Salvini, che si sono affrettati a “smentire” il titolare di via XX Settembre. Eppure, se entro i prossimi 8 mesi e mezzo non si troveranno 23 miliardi, questa sarà la dura realtà. E il governo allora in carica dovrà assumersene – volente o nolente – la paternità.

COS’È L’IVA

L’imposta sul valore aggiunto, nata nel 1973, è la tassa che si applica sui consumi ed è raccolta al momento dell’acquisto da chi fornisce il bene che poi la versa all’Agenzia delle Entrate. Dal 1973 è aumentata 9 volte, l’ultima il 1° ottobre 2013. La sua progressione per salvaguardare i conti pubblici è prevista dalla legge di Bilancio e dagli accordi con l’Unione europea.

COSA SONO LE CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA

Le clausole di salvaguardia sono le misure di sicurezza da adottare per salvaguardare i vincoli di bilancio imposti da Bruxelles. Tale formula – che dunque mira a tutelare i saldi di finanza pubblica – è stata adottata per la prima volta nel 2011 a causa della crisi dei conti pubblici che ha poi portato alla fine del governo Berlusconi.

QUALI SONO GLI AUMENTI PREVISTI

Se scatteranno gli aumenti, dunque, l’Iva agevolata – che si applica ad alcuni beni di uso comune come carne, pesce, gas ed energia elettrica e sui prodotti e servizi turistici – attualmente al 10% arriverebbe fino al 13% nel 2020. L’Iva ordinaria, invece – che si paga su tutto il resto – al 22% nel 2019 fino al 24,9% nel 2020 e al 25% dal 1° gennaio 2021 per poi toccare il 26,5% nel 2022. Esiste poi un’Iva al 4% per i beni di prima necessità, come prodotti di panetteria e generi alimentari con esclusione di carne e pesce.

LE IPOTESI ALLO STUDIO

Secondo le ricostruzioni di alcuni quotidiani, si starebbero studiando delle ipotesi per una sorta di aumento circoscritto, ad esempio con un incremento di un solo punto percentuale, dunque dal 10% all’11% per l’agevolata e dal 22% al 23% per l’ordinaria. Oppure si parla di un meccanismo di restituzione in sede di dichiarazione dei redditi. Il Quotidiano nazionale scrive che il meccanismo riguarderebbe beni e servizi con prezzi superiori a 30 euro per i quali ci sarebbe la possibilità di detrarre il 2% di quanto speso, recuperando così però 8 miliardi e non 23.

La Repubblica invece riferisce di un aumento selettivo solo su alcuni beni, soprattutto quelli di lusso, e il passaggio di altri dall’aliquota ordinaria a quella agevolata come nel caso dei telefoni. Invariato lo scaglione più basso al 4% cui verrebbero aggiunti però alcuni generi di maggiore necessità come pannolini, detersivi, acqua minerale, benzina e sapone. Anche in tal caso, però,
mancherebbero all’appello 4-5 miliardi.

I CONTI DELL’ISTAT

Solo qualche giorno fa il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, durante l’audizione sul Def ha detto che l’eventuale aumento dell’Iva porterebbe a una contrazione dei consumi dello 0,2% annuo. “Ipotizzando un immediato trasferimento di tutto l l’incremento d’imposta sul fronte dei prezzi – ha precisato – l’effetto sui prezzi sarebbe intorno a 2 punti percentuali e costante nei mesi successivi”. Blangiardo ha però poi ricordato che nel Documento di economia e finanza si specifica che l’aumento dell’imposta non viene “scaricato” interamente sui prezzi ma nell’ordine del 60-70%, dunque l’aumento dei prezzi “porterebbe a un effetto depressivo sui consumi che, nel quadro delineato, potrebbe essere nell’ordine dei 0,2 punti percentuali”.

I CONTI DI CONFCOMMERCIO

Più fosche le previsioni di Confcommercio che scongiura l’incremento perché “significa aumentare le tasse e deve essere chiaro a tutti che famiglie e imprese non potrebbero sopportare un ulteriore aumento delle tasse in una fase economica in cui i consumi sono sostanzialmente fermi” ha detto il vicepresidente Lino Stoppani. Anche l’ufficio studi di Confcommercio ha fatto due conti in proposito e ne è emerso che un eventuale aumento dell’Iva “si tradurrà in 382 euro di maggiori tasse a testa”. In media, l’aggravio sarà di 889 euro a famiglia. Per quanto riguarda i consumi, il calo previsto dalla confederazione guidata da Carlo Sangalli sarebbe peggiore di quello dell’Istat e si aggirerebbe intorno allo 0,7%-0,8%.

LA PREVISIONE DELLA CGIA

La Cgia di Mestre, sottolineando come l’incremento andrebbe a colpire perlopiù le classi meno abbienti perché colpirebbe in particolare i beni di largo consumo, sposta l’attenzione anche su un altro elemento ovvero sul fatto che dal 2020 i consumatori italiani deterrebbero il primato dell’aliquota ordinaria “più elevata tra tutti i Paesi dell’area dell’euro”. A quel punto, evidenzia il segretario Renato Mason, c’è il “serio rischio che l’economia sommersa assuma dimensioni ancor più preoccupanti”.

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