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Autonomia sì ma non così: i 7 no della Corte Costituzionale al disegno leghista di smontare l’Italia
La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale di sette punti centrali della riforma ma “salva” l’impianto generale. Da correggere il ruolo esclusivo del governo sui Lep. Il silenzio di Meloni mentre il ministro Calderoli dice: “Rispettiamo la Corte, valuteremo i correttivi”. Ma anche il referendum promosso dalle opposizioni va cestinato.
La notizia del giorno è la Consulta che dichiara incostituzionali le norme centrali della legge sull’Autonomia, pur ritenendo non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge posta da quattro Regioni (Puglia, Toscana, Sardegna e Campania). I quotidiani si dividono nella lettura che rappresenta comunque un freno al disegno leghista di spacchettare l’Italia. Si va dal Corriere della Sera che titola “Autonomia, colpo alla legge” a Repubblica e la Stampa che scrivono in prima su come sia stata “smontata la riforma” al titolo più caustico e politico del Fatto Quotidiano: “L’Autonomia nell’indifferenziata”
UNA SENTENZA DA GIANO BIFRONTE
A dare una lettura diversa sono invece i quotidiani vicini all’area del governo. A partire dal Giornale di Alessandro Sallustri che titola “Sì all’autonomia ma non così com’è” ed affida all’ex ministro Gaetano Qualiariello nell’editoriale in prima di spiegare il perché. “La sentenza della Corte può considerarsi un Giano bifronte” dice lo studioso “da un canto afferma che non può qualificarsi del tutto incostituzionale una legge dovuta, perché attua in via generale ciò che è già previsto dal titolo V della Costituzione. Se la cornice è salva, però, il quadro cambia in molti suoi aspetti strutturali”. Come a dire l’Autonomia si può fare ma non in questo modo. E’ ancora più esplicito il titolo di Libero che ribalta la questione e spara: “Via libera all’Autonomia (ma va corretta)” e nell’articolo di Brunella Bolloli si dà conto dell’esultanza della Lega: “è una buona notizia”.
I TRE PUNTI CHIAVE DEL NO DELLA CONSULTA
Sarà ma andando nello specifico è Giovanni Bianconi del Corriere della Sera ad elencare i tre punti per cui la Corte Costituzionale ha rimandato al Parlamento il disegno leghista. “Il primo riguarda la necessità di mantenere in capo allo Stato centrale la disciplina dei servizi e dei diritti da assicurare ai cittadini su questioni ritenute fondamentali. Ecco allora che l’intesa sul trasferimento di poteri alle Regioni, con le conseguenti «differenziazioni» territoriali, non può riguardare «materie o ambiti di materie», bensì “specifiche funzioni legislative e amministrative”. Il secondo aspetto scrive l’editorialista del quotidiano milanese riguarda “riguarda la centralità del Parlamento, che nella legge appare sacrificata in favore del governo” e infine ” c’è l’aspetto finanziario della riforma, bocciata nella misura in cui rischia di mettere a rischio l’equilibrio del bilancio statale creando scompensi a favore delle Regioni meno virtuose”. Si ricorda infatti che la norma prevede che una parte dell’Irpef sia destinata a coprire le differenze di fabbisogno degli enti locali che non riuscissero ad autofinanziarsi per erogare i servizi di cui diventano gestori. “Una misura che premia gli sprechi, o meglio «le Regioni inefficienti, che dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite, non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni». Un altro rilievo per salvaguardare i principi fissati dalla Costituzione” conclude Bianconi.
IL SILENZIO DELLA MELONI, LA FORMALITA’ DI CALDEROLI
E i politici come hanno reagito alla sentenza? Tutto da decriptare il silenzio ufficiale di Giorgia Meloni, leader di un partito con folto voto meridionale, la posizione della Lega è affidata a una nota che prova a vedere il bicchiere mezzo pieno: per il Carroccio la legge Calderoli ha «superato l’esame» e i rilievi saranno «facilmente superati» dal Parlamento. E il ministro Roberto Calderoli, come riporta il Messaggero annota: “Rispettiamo la Consulta, valuteremo i correttivi, intanto i negoziati con le regioni vanno avanti”. La linea va però affinata con FdI: «La Corte non ha smantellato la legge – dice il senatore Alberto Balboni di Fdi-, ha fatto qualche aggiustamento. Siamo ancora in attesa che vengono definiti i Lep. Non c’è bisogno che il Parlamento intervenga, basterà prendere atto delle modifiche apportate dalla sentenza”. Forza Italia invece rivendica piuttosto la battaglia per mettere in stand by la riforma sino alla definizione dei Lep.
MENTRE IL REFERENDUM DELLE OPPOSIZONI VA CESTINATO
Inutile dire che le opposizioni festeggiano ma bisogna anche vedere che fine farà il referendum perché è stato smantellato dalla Corte Costituzionale, anche se non è stato detto in modo esplicito. Di certo come scrive Marcello Sorgi su la Stampa la legge Calderoli è diventata un’anatra zoppa da riscrivere. “Non si farà più il referendum che era stato baldanzosamente promosso dalle opposizioni, con una raccolta di firme oltre ogni previsione condivisa, grazie anche alla possibilità di utilizzare le firme digitali. La Corte, questo, non lo ha detto esplicitamente: ma va da sé che non essendovi più la legge che doveva essere sottoposta al giudizio popolare, anche la consultazione non ha più alcuna ragione di esistere. I promotori avranno modo di rifletterci quando la nuova versione della riforma sarà approvata, ma intanto potrebbero dichiararsi vincitori perché, se non proprio cancellata, la legge sulle autonomie è fortemente azzoppata, e non è prevedibile quanto tempo occorrerà al governo per presentarne una nuova versione”.