skip to Main Content

Come cambia il linguaggio politico in Italia

Linguaggio Politico

L’analisi di Nicola Bonaccini, Docente ed esperto di comunicazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, sull’evoluzione del linguaggio politico nel nostro Paese

Si sente spesso parlare di un imbarbarimento del linguaggio politico che caratterizza questo periodo storico. Oggi i politici sembrano più piacioni e dritti al punto, ma anche più gretti, aggressivi e sciatti nel parlare.

È vero, il linguaggio dei “vaffa”, dei “gufi”, del “prima gli italiani” e del “…” si distingue molto da quei giri di parole, a volte eterei, della Prima Repubblica che alcuni nostalgici contrappongono.

Quei discorsi solenni pronunciati al Parlamento, anche nei momenti più bui della storia repubblicana in cui si alimentavano sempre più le ostilità tra partiti, non perdevano mai quell’istituzionalità caratteristica del politico di vecchio stampo.

UN PASSAGGIO LINGUISTICO DA PRIMA A SECONDA E INFINE TERZA REPUBBLICA

Dal ’92 a oggi, il passaggio dalla prima alla seconda e poi alla terza Repubblica non è stato solo storico ma anche linguistico.

Molte critiche parlano di linguaggio rapido, poco pensato e “social”. Un linguaggio meno barocco, più semplice e dritto al punto ma anche, in fin dei conti, povero di significato e fatto esclusivamente di forma e quasi mai di contenuto. Un linguaggio basso e opportunista che molti considerano un “parlare alla pancia” dei cittadini con il mero fine di estorcere un voto (o quantomeno un like).

C’è del vero e c’è del falso. Intanto perché, a prescindere dal linguaggio, la politica è sempre stata orientata verso il consenso e quindi ha sempre mirato a un target preciso cercando di proporre idee. Poi perché, per conquistare, ha da sempre fatto appello all’emotività — e quindi “alla pancia” — di chi ascolta. È un concetto vecchio quanto il mondo: per “fare qualcosa” dobbiamo avere una forte spinta emotiva verso di essa e questa spinta può provenire anche dalle parole di un bravo oratore.

Accusare i politici oggi di utilizzare la lingua per persuadere l’elettorato con argomenti non sempre del tutto convincenti è legittimo, ma immaginare e invocare tempi ormai antichi in cui questo non succedeva è decisamente utopia.

Forse allora è cambiato qualcosa nel modo in cui il cittadino percepisce ed è percepito dalla politica stessa e forse sono cambiate anche le aspettative che ripone in essa. È cambiata la sua interpretazione dei fatti e con essa anche il significato che egli o ella vi attribuisce.

Pensiamo al dibattito sul tema della competenza: a quelli che accusano i “professoroni” e gli “intellettualoni” rivendicando la superiorità pragmatica dell’uomo medio e a quelli che ridacchiano a sproposito su chi crede alle “scie chimiche” o che ingiuriano i “no-vax”, come se l’insulto potesse davvero essere la soluzione.

È CAMBIATA LA CONCEZIONE DI POLITICA

Prima, la concezione di una politica elevata, dotata di conoscenze e titoli superiori alla media, connotata ideologicamente e votata alla tutela del diritto e del bene dei cittadini non era messa in discussione. Oggi si invoca invece sempre più una politica emergente dal basso che pone le sue basi sulla volontà di sostituirsi a questa “vecchia” politica elevata che ha fallito autoeleggendosi a rappresentanza di un “popolo” non ben identificato, ma che rappresenta nell’eloquio e nelle altre modalità di espressione.

Sono due concezioni che hanno un orientamento opposto: verticale la prima, che pone di fatto la politica in una posizione di superiorità rispetto al cittadino e orizzontale la seconda, che invece trova il cittadino dentro se stessa, nasce dalla società civile e si propone di rappresentarla realmente nelle istituzioni.

La lingua e il suo uso riflettono questo orientamento. Ad un linguaggio estremamente formale, dotto e arzigogolato di fatto assente nella società civile si è sostituito il “linguaggio del popolo”. Un linguaggio davvero accessibile, davvero comprensibile e che proprio per questo è più convincente.

“PARLIAMO LA STESSA LINGUA”

Un popolo che inoltre viene utilizzato genericamente dai politici proprio per rafforzare questo senso di orizzontalità e di unanimità. Utilizzando un linguaggio più aggressivo e sempre meno conciliante verso l’avversario con espressioni come “gli italiani ci chiedono…”, “il governo del popolo…” serve a gonfiare la percezione di unanimità rispetto all’operato delle forze politiche. È come dire “siamo tutti compatti, siamo tutti uguali e siamo tutti d’accordo, parliamo la stessa lingua”.

Quando Luigi di Maio o Matteo Salvini pretendono di parlare in nome del popolo italiano, dimenticano forse che gli italiani sono circa 60 milioni di persone ognuna diversa dall’altra e con aspirazioni, bisogni e aspettative differenti? Non credo proprio.

Ci siamo detti che è cambiato qualcosa nel modo in cui il cittadino percepisce ed è percepito dalla politica stessa. Due punti di vista opposti ci possono aiutare a capire.

IL GANCIO ARRIVATO DALLA PUBBLICITÀ

A prima vista, e con il supporto di ricerche molto autorevoli, verrebbe da dire che il pubblico italiano medio è stato abituato al linguaggio ipersemplificato da anni di tv commerciale, da competizioni per l’audience per poi infarcire gli spazi di televendite anche improbabili.

La pubblicità ha fra le sue caratteristiche l’essere diretta, sintetica e attraente senza entrare troppo nel merito con spiegazioni ed esempi (altrimenti non compreremmo molti prodotti che riempiono le nostre dispense). E così a colpi di spot e siparietti si sono cresciute generazioni a colpi di slogan, in questo caso pubblicitari.

Tuttavia, se ci si documenta un po’ è davvero impossibile non inciampare nelle tecniche dell’uso del linguaggio nella comunicazione di massa. Senza troppi giri di parole, basta sfogliare i testi di Bernays o leggere quanto ci raccontano di Goebbels, il guru della propaganda nazionalsocialista, per capire il punto. In quei testi dei primi ‘900 si parla del concetto di semplificare i messaggi e di volgarizzarli, del bisogno di ripetere costantemente, del creare esagerazioni e del cambiare spesso argomento…vi viene in mente qualche caso attuale?

Qualcuno dirà che ogni epoca ha il suo linguaggio. Io concluderei che ogni epoca ha il suo gergo ma i principi dell’uso delle parole sono sempre gli stessi e chi è stato o è in grado di applicarli otterrà sempre attenzione e pathos.

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Back To Top