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Come l’Europa può favorire la crescita dell’Italia (e non solo)

Europa

L’austerità è stata un problema durante la recessione e bisognerà evitarla con accordi nuovi se dovesse esserci un nuovo grande rallentamento dell’economia. L’intervista di Simone Martino a Lucrezia Reichlin per Start Magazine

Lucrezia Reichlin, economista italiana di primo piano, che insegna alla London Business School, ha deciso di rispondere alle nostre domande sulle prospettive di crescita del nostro paese e dell’Europa, concorrenza e rapporto del Vecchio Continente con Usa e Cina. La professoressa Reichlin ha ricoperto l’incarico di direttore generale alla ricerca alla Banca centrale europea (Bce) di Francoforte, durante la presidenza di Jean-Claude Trichet. È Presidente e co-fondatore di Now-Casting Economics limited ed è editorialista del Corriere della Sera.

Professoressa Reichlin che cosa può fare l’Italia in politica economica per invertire la tendenza al declino che la caratterizza da anni?

Nell’immediato l’Italia deve ridurre il cuneo fiscale per le imprese, avviare un programma pilota che velocizzi la spesa già stanziata per gli investimenti e i fondi europei, presidiandone la governance attraverso una struttura apposita. Nel medio periodo deve focalizzare progetti per l’istruzione affrontando il problema dell’abbandono scolastico e della qualità dell’istruzione di base. Sul piano del sostegno al reddito e alla povertà deve modernizzare e semplificare le politiche di welfare. C’è bisogno inoltre di un piano giovani focalizzato sul lavoro. Sul piano della politica di bilancio dobbiamo fare un patto con l’Europa per il rientro del debito e riacquistare credibilità ora completamente distrutta e smettere di pensare che con i soldi pubblici si risolvono tutti i problemi.

L’Unione europea in che modo può favorire la crescita dei singoli Stati Nazionali?

Regole sulla concorrenza e spinta all’unione dei capitali innanzitutto. Ma bisognerebbe essere anche più ambiziosi e mettere in campo politiche comuni per l’ambiente e la ricerca finanziate da tasse alle grandi multinazionali.

Le attuali regole europee su investimenti e spesa pubblica devono essere modificate in senso pro crescita oppure sono ancora utili agli Stati nazionali per conciliare equilibrio di bilancio e crescita?

Le attuali regole permettono un’enorme flessibilità. Possono essere migliorate ma questo non cambierebbe radicalmente le cose. L’austerità è stata un problema durante la recessione e bisognerà evitarla con accordi nuovi se ci dovesse essere un nuovo grave rallentamento dell’economia, ma la spesa pubblica di per sé non è la cura di problemi strutturali soprattutto per paesi con alto debito.

Come valuta l’operato della Banca centrale europea presieduta da Mario Draghi?

Direi molto positivamente. L’istituzione è molto cambiata ed è diventata una grande banca centrale capace di innovare negli strumenti ed è più tempestiva nell’azione.

Alcuni partiti italiani per le Europee hanno presentato programmi in cui si auspica una Bce stile Fed. Che cosa ne pensa?

La Bce e già molto simile alla Fed.

La necessità di avere persone forti e rappresentative ai vertici dell’Unione emerge chiaramente dalle evoluzioni della politica mondiale. Nei mesi scorsi vi sono stati infatti troppi segnali che Stati Uniti e Russia vedono nell’Europa non un alleato ma un concorrente da frammentare, allo scopo di indebolirlo nella sfida dei futuri mercati e della futura politica. Quanto Le preoccupa in tale contesto, l’ascesa dei movimenti sovranisti?

I movimenti sovranisti sono il risultato di un disagio crescente della popolazione in parte dovuto alla pesante eredità della crisi in cui l’Europa è stata percepita come incapace di dare risposte adeguate e tempestive ma in parte anche dovuto a nuovi problemi legati alla tecnologia e alla globalizzazione che rendono larghi settori della popolazione più fragili. L’Europa per essere convincente deve ritrovare un proposito comune al di là della retorica e ridefinire cosa è necessario fare insieme. Senza un messaggio chiaro prevedo un’erosione graduale del progetto europeo.

 

Articolo pubblicato su Start Magazine n.2/2019

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