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Con Brexit e Trump serve più Europa. Parola di Romano Prodi

Europa

“L’Europa è un pane da cuocere o dovremo buttarla”è il sunto della lectio magistralis tenuta da Romano Prodi presso il Teatro Socyale di Pingipane lo scorso 3 maggio. La cronaca di Andrea Tarroni

Un’analisi profonda e approfondita, un vero e proprio “stato dell’Unione”. Europea, si intende. Il Professore Romano Prodi ha riempito in ogni ordine e grado il teatro Socjale di Piangipane, in provincia di Ravenna per la sua Lectio magistralis. A intervenire insieme all’ex Presidente della Commissione Europea sono stati Michele De Pascale, sindaco di Ravenna, Tiziano Mazzoni, Presidente della Fondazione Teatro Socjale e Gianni Bessi, Consigliere della Regione Emilia Romagna. Ecco alcuni spunti di riflessione sull’Unione europea tracciati da Prodi.

LA VISIONE DI OGGI DELL’UE

Da parte di Prodi non c’è una visione retorica dell’Unione europea, benchè da subito ne riconosca la funzione storica: “Settant’anni di pace non si sono mai verificati, mi guardano come un dinosauro quando lo ricordo”. Per il due volte presidente del Consiglio l’Ue odierna è un “pane mezzo crudo e mezzo cotto, e dobbiamo decidere se cuocerlo o buttarlo via”. L’analisi del padre fondatore dell’Ulivo e del Pd parte dagli ultimi tre decenni: “Quando è caduta l’Urss un famoso articolo, intitolato ‘La fine della storia’, preconizzava che ci sarebbe stato solo un Paese egemone, gli Usa. Invece – osserva Prodi – vediamo una crescente tensione fra Stati Uniti e Cina, che necessiterebbe di un continente mediatore con valori differenti rispetto ai due contender. E la nostra ricchezza, il nostro modello è rappresentato dal welfare state. Una volta ci si poneva il problema, ascoltando la proposta di chi promuoveva ricette con meno tasse, se sarebbe significato anche meno scuola, o meno sanità. Adesso ci si ferma all’enunciato, senza preoccuparsi delle conseguenze. E probabilmente sta qui la crisi dell’Europa – teorizza il Professore -: nel non porsi il problema di proteggere sempre i più deboli”.

UN’UE DIVISA

Il passaggio simbolico, nell’aver perso questa predisposizione, Romano Prodi lo fa coincidere con la crisi greca: “Per quanto le condizioni alla solidarietà fossero giustificate, perché la Grecia aveva imbrogliato, dobbiamo ricordarci che con 30 miliardi subito avremmo sanato la situazione”. Invece dopo pochi mesi erano 300 e noi stavamo appesi alle elezioni regionali tedesche, dove la Merkel non voleva mostrarsi debole. Quella crisi, nata in America, non è stata superata in Europa per la divisione europea, e non per colpa delle istituzioni europee”, sentenzia Prodi. Una divisione ormai continua, nata dalla prevaricazione del Consiglio europeo nei confronti della Commissione. Che è ormai strutturale, dopo quello storico “no” alla Costituzione unica nel referendum transalpino del 2005 e che ci ha portati oggi a “una Francia che, nonostante abbia un presidente che ha vinto proclamandosi europeista, tiene una politica estera gollista e la impone all’Ue. Atteggiamento che porta la Germania a continuare a rivendicare la leadership economica sul Continente”.

LA PROSPETTIVA PER IL FUTURO

Ma la visione di Prodi non è pessimista: “Due elementi in partenza negativi stanno inducendo a comprendere che serve più Europa: la Brexit e Trump. Alle prossime elezioni il vero nemico penso sarà l’assenteismo. I sovranisti cresceranno ma non prevarranno. Poi sono divisi: ha un bel daffare Salvini nell’andare da Orban a visitare il muro, quando non potrà mai fargli digerire nessuna politica migratoria comune“. Quando invece “in mondo in cui la Cina cresce quanto il Pil della Russia, e quindi…cresce di una Russia all’anno”, le politiche unitarie servono: “Siamo nel Cinquecentenario di Leonardo e in quel tempo in Italia c’erano le civiltà più luminose, tutte divise. In breve tempo abbiamo perso l’egemonia, perchè non avevamo le migliori tecnologie navali e siamo finiti a dire ‘Franza o Spagna, purchè se magna’. L’Europa può finire nello stesso modo, e le ‘caravelle’ di allora sono rappresentate dal 5G, su cui Usa e Cina si fanno la guerra”. Non c’è da stupirsi se centinaia di giovani e meno giovani, di sinistra o meno di sinistra, si radunino in ogni tappa ad ascoltare questo signore ormai 80enne senza più ruoli all’interno di formazioni politiche: la lucidità del suo ragionamento non si trova altrove. E anche altrove servirebbe.

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