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Decarbonizzazione, ecco il piano italiano che non piace agli enti locali

Tutti i dettagli sul piano di decarbonizzazione dell’Italia. L’articolo di Annarita Digiorgio per Energia Oltre

Le centrali a carbone italiane devono chiudere.

Si chiama Phase Out, il programma, messo nero su bianco dalla Strategia Energetica Nazionale (SEN 2017), e ribadito dalla proposta di Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC 2018), che fissa senza discussione l’anno d’inizio dell’era coal free per il nostro Paese.

LE CENTRALI DA DISMETTERE

Le centrali a carbone tuttora operative in Italia e che Enel deve sottoporre al riesame dell’AIA sono quelle di Brindisi e Civitavecchia, di cui Starace aveva annunciato la chiusura (condizionata) al 2025, e La Spezia, Venezia-Fusina e Sulcis-Portoscuso, che secondo le dichiarazioni dell’AD di Enel non dovrebbero andare oltre il 2021.

In un primo momento Enel aveva fatto ricorso contro questa decisione, poi, in seguito alla convocazione per l’audizione sul Piano nazionale integrato per l’energia e il clima al 2030 presso la X Commissione Attività produttive della Camera, li ha ritirati. “I ricorsi sono stati presentati in un momento in cui non c’era un dialogo costruttivo – aveva dichiara Francesco Starace nel corso dell’Assemblea Generale degli Azionisti di Enel – ma vista la volontà comune i ricorsi sono stati ritirati”.

Ad aprile si è tenuto al Mise il primo incontro dedicato alla macroarea settentrionale, che riguardavano le centrali Enel di La Spezia e Fusina e quelle A2A di Monfalcone e Brescia.

Mentre la scorsa settimana una nuova riunione tra Governo, enti locali e sindacati e società proprietarie (Enel, A2a, Ep Produzione) delle 8 centrali a carbone ancora operative al centro sud.

LA RICETTA DELLA DECARBONIZZAZIONE

Accumuli e gas: questa la “ricetta” con cui Enel punta a sostituire 4.265 MW di capacità installata nel carbone nel centro-sud Italia entro il 2025.

Più precisamente, si prevede di realizzare 3.000 MW di accumuli e 1.250 MW di conversioni delle vecchie unità a carbone in impianti a gas con tecnologia OCGT (Open Cycle Gas Turbine), quindi la realizzazione di quattro centrali a gas a ciclo aperto per 3,2 GW di potenza in sostituzione delle quattro centrali a carbone di Venezia, La Spezia, Civitavecchia e Brindisi.

Quando? Appena ottenute le autorizzazioni, a valle delle relative istanze di Valutazione di Impatto Ambientale già presentate.

Un altro aspetto fondamentale, come spiegato dal direttore di Enel Italia, Carlo Tamburi, durante l’audizione sul Piano nazionale integrato per l’energia e il clima al 2030, per la partenza dei progetti Enel è il preventivo avvio del capacity market: le unità OCGT, infatti, sono pensate soprattutto per colmare l’eventuale fabbisogno residuo di energia prodotta da rinnovabili o per stabilizzare la rete.

Lo stesso è stato confermato anche da Starace agli azionisti nell’Assemblea degli Azionisti Enel dello scorso maggio, aggiungendo che “se la crescita delle rinnovabili non dovesse avvenire, le centrali saranno convertite a cicli combinati. In mancanza di questa soluzione – ha aggiunto l’AD – potremmo trovarci in difficoltà: su questo abbiamo trovato un buon accordo con il Ministero Ambiente, il MiSE e le quattro regioni interessate considerato che la competenza in materia di energia ricade sulle regioni”.

Ma qui intervengono gli enti locali. Che il carbone non lo vogliono. Ma il gas neanche.

LA MANIFESTAZIONE A SPEZIA

A La Spezia si terrà lunedì una manifestazione “per lo stop a ogni tipo centrale Enel a partire dal 2021 e il no a qualunque forma di produzione energetica da combustibili fossili, siano essi carbone o gas, nell’area di Vallegrande”.

“Non vogliamo divisioni con i lavoratori- dicono gli organizzatori-“da parte nostra arriva un no chiaro alla centrale ma anche un sì forte alla tutela dei posti di lavoro, alle bonifiche e al progetto di riconversione. Alla fine del consiglio comunale straordinario del 10 giugno c’è stato un pronunciamento tendenzialmente unitario per dire basta alla centrale, a carbone o a gas. Avevamo già annunciato la volontà di organizzare una manifestazione a carattere popolare per vedere se riusciamo a far uscire gli spezzini di casa, se riusciamo a far sentire la loro voce anche al di fuori delle sedi istituzionali. Si tratta di una iniziativa che si svolgerà in maniera del tutto laica, senza simboli di sorta, aperta a tutti. Non vogliamo divisioni e contrapposizioni perché speriamo in una città unita in questa vertenza. Abbiamo mandato una mail al sindaco e a tutta la maggioranza e confidiamo in una ampia partecipazione. E riteniamo doveroso che ci sia anche il sindaco della Spezia. Ci saranno quello di Arcola e quelli di altri Comuni limitrofi. Nel corso della manifestazione ai partecipanti saranno distribuite le magliette realizzate con il contributo creativo di Emanuele Martera che alla ciminiera stilizzata ha affiancato la scritta “2021 Basta”, mentre il fumo si alza verso il collo di chi la indossa. Le maglie saranno a disposizione anche in alcuni gazebo che saranno collocati in altrettanti punti della città, invitando la cittadinanza ad appenderle fuori da balconi e finestre. Torneremo sul tema Enel in una delle sedute di consiglio di inizio luglio per tenere alta l’attenzione sul tema e spingere la Regione porti avanti la posizione del consiglio spezzino. Non dimentichiamo che c’è un procedimento in corso al ministero dell’Ambiente…”.

Alla manifestazione partecipa anche il Pd, contrario al gas: “La riconversione delle aree è una questione imprescindibile – ha aggiunto Federica Pecunia, capogruppo Pd – e la mobilitazione serve perché la città si è già espressa in passato sulla permanenza di una centrale ormai anacronistica e perché il coinvolgimento della popolazione può far tenere la barra dritta a Comune e Regione. Ci sono molte possibilità all’orizzonte, anche con la permanenza di Enel. Da decenni la ciminiera è davanti alle finestre dei residenti e quello stesso quartiere popolare che festeggiò la nascita dell’impianto oggi si mobilita per dire: basta, abbiamo dato abbastanza. Enel non deve più bruciare combustibili fossili, che sono comunque inquinanti. La produzione di energia elettrica alla Spezia può avvenire solo da fonti rinnovabili.

Credo ci sia una nuova consapevolezza e tutti vogliono che la città e la provincia giochino un altro ruolo, secondo un diverso modello di sviluppo. Le parole ‘green’ e ‘smart’ vengono spesso evocate per moda ma poi non seguono i fatti. Vogliamo concretizzare una nuova politica e anche il tema dei posti di lavoro va affrontato in maniera nuova, considerando altre opzioni. Vogliamo una città che perda i primati negativi che ha da decenni: insieme a Taranto è ai primi posti in Italia per morti per tumori ai polmoni e siamo primi al mondo per l’incidenza del mesotelioma pleurico. Bisogna ribaltare la situazione”.

“Spezia è la cenerentola della Regione: in tutte le decisioni dipende da Toti e dai partiti. L’inquinamento prodotto dal gas sarebbe un po’ inferiore – ha spiegato Luigi Liguori, capogruppo di Spezia bella, forte e unita – ma le tonnellate di polveri emesse in atmosfera sarebbero comunque elevatissime, con ricadute pesanti sulla salute, come dimostrano gli studi sanitari. E invece non viene preso in considerazione l’aspetto della salute”.

LA SITUAZIONE A BRINDISI

Stessa situazione a Brindisi. Il Consiglio Comunale, maggioranza PD, in data 1 ottobre 2018 approvò all’unanimità un ordine del giorno in cui, oltre a respingere il progetto A2A per un impianto di trattamento dei rifiuti, affermò che la A2A avrebbe dovuto procedere alla dismissione di quella centrale con lo smantellamento dei gruppi 1 e 2 e con la bonifica dell’intera area, affidando al sindaco Riccardo Rossi di rappresentare presso il Ministero per l’Ambiente ed in ogni altra sede competente questa volontà dell’Assise.

“La delegazione del Comune di Brindisi quindi non considera rassicuranti le affermazioni dei rappresentanti del Mise in base alle quali qualsiasi intervento impiantistico, teso alla decarbonizzazione, non può che generare certe ricadute positive in termini ambientali e sanitari: occorre comunque una completa analisi costi benefici socio-economica ed ambientale. Tale visione parziale e indefinita necessita di essere approfondita ed implementata alla scala locale: il Comune di Brindisi ha delle sue specificità economiche ed ambientali, oltre a contribuire in modo massiccio e singolare all’approvvigionamento energetico del sistema Paese con enormi sacrifici ambientali che non possono essere in alcun modo esaustivamente trattati e ricondotti in tavoli plenari ed interregionali come quello odierno”. Pertanto, è la conclusione, “verrà reiterata dal Comune di Brindisi un’istanza di riproposizione del tavolo tematico a livello provinciale e comunale, alla presenza dei player e degli stakeholder che incidono sulla realtà e sulla composizione dell’offerta socio economico e territoriale locali”.

Le associazioni ribadiscono “che non esiste alcuna motivazione tecnica a sostegno della domanda di punta in rete che giustificherebbe il progetto di A2A, in quanto la Puglia esporta il 50% della sua produzione elettrica. Dovrebbe essere pleonastico ricordare che la decarbonizzazione comporta la fuoriuscita dai combustibili fossili e non dal solo carbone, tanto più in un territorio di cui abbiamo sopra ricordato la profonda e certificata sofferenza e che continua ad avere una centrale a turbogas di Enipower da 1170 Mw ed altri impianti produttivi, oltre alla maggior parte di impianti fotovoltaici in Puglia”.

LE PROTESTE A CIVITAVECCHIA

Uguale anche a Civitavecchia: “Riteniamo che l’ipotesi di realizzare nuovi impianti turbogas a Torrevaldaliga Nord sia inaccettabile. Al tavolo Mise sono stati presentati solamente i piani di riconversione a gas, ma non abbiamo visto nessun progetto di vera conversione del territorio, che preveda impegni di governo, enti pubblici e gestori elettrici, per quanto riguarda le rinnovabili e l’occupazione. Ci attendiamo una presa di posizione chiara, seguita da fatti concreti, dalla Regione Lazio. Civitavecchia – conclude il Forum Ambientalista – è punto nodale della strategia del cambiamento per la conversione ecologica, la cui attuazione si scontrerà con resistenze e opposizioni di potentati economici. Occorre essere coraggiosi e fare presto”.

Così il Sindaco di Civitavecchia: “La nostra città ha già subìto una riconversione della centrale di Torre Valdaliga Nord, che si è rivelata onerosa sia sotto il profilo ambientale che sotto quello sociale. Parlare oggi di utilizzo di gas è pertanto quanto meno inopportuno. E’ invece tempo di attivarsi, ed anzi siamo in ritardo, sulle energie rinnovabili. In tal senso ho chiesto espressamente, tanto all’Enel quanto al Governo, che Civitavecchia sia dichiarata città-pilota e sperimentale a livello nazionale dei progetti sulle fonti rinnovabili di energia e sull’innovazione tecnologica. Ciò dovrà avvenire anche e soprattutto affinché i livelli occupazionali attuali non solo siano tutelati, ma incrementati attraverso appositi investimenti. Massima attenzione andrà dunque dedicata al ruolo delle imprese locali ed in tal senso ho voluto rappresentare ad Enel le gravi difficoltà che sta attraversando in questi giorni la nostra imprenditoria: ho riscontrato la disponibilità dell’azienda ad un confronto e quindi convocherò a giorni un tavolo istituzionale locale alla presenza dell’ente, delle imprese, delle organizzazioni sindacali e delle associazioni di categoria. Ho però anticipato che un confronto permanente sulla sola situazione di Civitavecchia dovrà aprirsi, parallelamente, anche in sede governativa, in considerazione del ruolo avuto dalla città col suo Polo energetico nello sviluppo nazionale”.

Se la strategia europea è comune, le cose negli altri Paesi non vanno meglio:Francia, Austria, Irlanda e Regno Unito, come l’Italia, hanno programmato il phase-out entro il 2025». E se la Francia, basandosi sulla fornitura elettrica dal nucleare, ha altri problemi, la Germania dipende al 40% dal carbone. Tant’è che i tedeschi – forse più green e tecnologicamente avanzati di noi nell’immaginario comune – starebbero pensando addirittura al 2038 per liberarsene. «Danimarca, Finlandia e Paesi Bassi entro il 2030. Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Grecia, Romania, Slovenia e Spagna non stanno ancora valutando l’ipotesi.

L’Italia è l’unica che davvero e già pronta per la fase fuori dal carbone.

Ma la via d’uscita, che è il gas, gli enti locali non la vogliono.

L’ostacolo alla decarbonizzazione ora sono loro.

 

Articolo pubblicato su Energiaoltre.it

 

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