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Equo compenso, Confprofessioni: «se il professionista sbaglia, paga; la PA no»
Il numero 1 di Confprofessioni, Gaetano Stella, sulla norma sull’equo compenso: «Ancora diverse anomalie: siamo davvero sicuri che un modello standard possa rispondere in maniera efficace a una prestazione professionale complessa? Che fine ha fatto il principio di libera pattuizione tra professionista e cliente?»
«Se vogliamo davvero tutelare i liberi professionisti, sono da correggere alcune distorsioni che emergono dall’ultima versione della proposta di legge sull’equo compenso, in caso contrario saranno ancora una volta i professionisti ad essere penalizzati da una norma nata per proteggerli». Così il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, intervenendo sull’equo compenso, in discussione in questi giorni alla Camera, per sollecitare urgenti interventi migliorativi alla proposta di legge Meloni.
«Nel provvedimento sull’equo compenso – prosegue il numero 1 di Confprofessioni – ci sono ancora diverse anomalie. Anzitutto, si attribuisce agli ordini professionali il compito di aggiornare i parametri di riferimento delle prestazioni professionali e, al tempo stesso, di stipulare modelli standard di convenzioni che le imprese possono adottare anche in deroga ai parametri stessi», motiva Stella. «Ci chiediamo, allora, a che cosa servano i parametri, ma soprattutto siamo davvero sicuri che un modello standard possa rispondere in maniera efficace a una prestazione professionale complessa? Che fine ha fatto il principio di libera pattuizione tra professionista e cliente?»
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«L’equo compenso nasce con l’intento di proteggere i liberi professionisti, ma nella norma si introducono nuovi obblighi e nuove sanzioni a loro carico, senza che sia previsto alcun onere a carico dell’impresa e della Pubblica Amministrazione che non rispetta l’equo compenso» sostiene Stella. «C’è tempo per modifiche anche nell’ambito di applicazione del provvedimento rispetto alle aziende, perché così come congegnata si riferisce soltanto all’1% delle imprese presenti in Italia».
«Abbiamo forti dubbi anche sulla class action che di norma si adotta in presenza di un diritto soggettivo omogeneo e non di un interesse. Basterebbe, a nostro avviso, un’azione inibitoria già prevista dal nostro ordinamento, anche per evitare l’esplosione di una conflittualità esasperata tra professionisti in concorrenza tra loro. Infine – conclude Stella – la composizione dell’Osservatorio nazionale sull’equo compenso dev’essere essere maggiormente inclusiva e ricomprendere anche le associazioni di rappresentanza dei professionisti, esprimendo così la più corretta dimensione della realtà del mondo professionale».