Come i Presidenti della Repubblica, nei discorsi al Corpo Diplomatico, hanno raccontato l’Italia al mondo dal 1951 a oggi: tradizione, stili e visione internazionale.
Il discorso del Presidente della Repubblica al Corpo Diplomatico, pronunciato in occasione dello scambio di auguri di fine anno, è uno degli appuntamenti più consolidati della vita istituzionale italiana.
Quest’anno la cerimonia si svolgerà il 12 dicembre al Quirinale, alla presenza del Presidente Sergio Mattarella.
IL RUOLO DEL PRESIDENTE NELLA POLITICA ESTERA
Pur non essendo previsto dalla Costituzione, l’incontro si è trasformato nel tempo in un rito che riflette la proiezione internazionale dell’Italia e offre una lettura delle principali questioni geopolitiche: uno specchio del presente e insieme una bussola per il futuro.
In qualità di rappresentante dell’unità nazionale, il Presidente esercita prerogative proprie, dall’accreditamento dei diplomatici alla ratifica dei trattati internazionali previa autorizzazione parlamentare, pur in un quadro in cui la politica estera resta di competenza del Governo.
Nel corso dei decenni, il linguaggio e la visione diplomatica del Quirinale si sono adattati ai mutamenti storici e alla personalità dei diversi Capi dello Stato, delineando tradizioni e stili differenti.
LE ORIGINI DELLA TRADIZIONE: DA EINAUDI A SARAGAT
L’usanza del discorso annuale risale al 1951, con Luigi Einaudi, e non è stata più interrotta, salvo nei casi di Giuseppe Saragat e Giovanni Leone, insediatisi a ridosso della fine anno.
Einaudi inaugurò la tradizione con un linguaggio prudente, riflesso di un Paese ancora segnato dal dopoguerra: invocava stabilità, ricostruzione e cooperazione economica, evitando riferimenti politici espliciti.

Con Giovanni Gronchi l’attenzione si spostò verso il Mediterraneo, anticipando la centralità di quell’area nella politica estera.
Antonio Segni costruì i propri interventi attorno ai concetti di collaborazione, come condizione per la pace, e indipendenza, come sostegno ai diritti e all’autodeterminazione dei popoli.
Giuseppe Saragat, grazie alla sua esperienza diplomatica, evidenziò il ruolo delle rappresentanze estere quali strumenti di comprensione reciproca, capaci di interpretare le aspirazioni dei popoli.
Nel pieno della Guerra Fredda, Giovanni Leone insistette sull’importanza del dialogo tra i blocchi e sulla necessità di contenere le tensioni per salvaguardare l’equilibrio globale.
LA SVOLTA DI PERTINI
Con Sandro Pertini il discorso conobbe una svolta significativa: il Presidente parlava “al mondo” con la forza morale di chi aveva vissuto in prima persona le tragedie del Novecento.

Libertà, diritti umani e dignità dei popoli oppressi divennero il centro dei suoi interventi, sostituendo alla distanza cerimoniale un coinvolgimento diretto, coerente con la sua figura di Presidente civile e combattivo.
COSSIGA E SCALFARO
Francesco Cossiga riportò un’impostazione più formale, ponendo l’accento su stabilità e armonia nelle relazioni internazionali.
Con Oscar Luigi Scalfaro, in anni segnati da turbolenze interne e da una crescente attenzione internazionale verso l’Italia, collocò al centro dei suoi interventi la difesa della legalità e della democrazia.

Il suo stile, istituzionale ma accessibile, valorizzava pace, cooperazione e responsabilità condivisa.
All’inizio del XXI secolo, la Presidenza si orientò con decisione verso l’Europa.
L’ERA EUROPEA DI CIAMPI
Carlo Azeglio Ciampi trasformò l’incontro in un manifesto europeista, sostenendo che l’Italia fosse “Paese europeo per destino e per cultura”, e che l’integrazione nell’Unione rappresentasse il pilastro della politica estera nazionale.

Nei suoi discorsi, ricchi di riferimenti all’ ONU, al Consiglio Europeo e alla NATO delineò un orizzonte di stabilità e collaborazione multilaterale.
NAPOLITANO, MATTARELLA E LA GEOPOLITICA DEL NUOVO SECOLO
Giorgio Napolitano adottò un tono pragmatico, attento alle crisi economiche, energetiche e ambientali del nuovo secolo. Richiamò il ruolo dell’Italia nell’UE e la necessità che l’Unione mantenesse la propria vocazione geopolitica, sottolineando la responsabilità comune nell’affrontare sfide globali sempre più interconnesse.


Con Sergio Mattarella, il rito si è confrontato con un mondo radicalmente mutato: pandemia, conflitti, crisi energetiche, competizione strategica tra potenze. Nei suoi discorsi emergono tre direttrici: la difesa del multilateralismo come struttura portante nella gestione degli affari globali; l’Europa come comunità di destino; il diritto internazionale come limite all’uso della forza.
Dopo l’invasione dell’Ucraina, Mattarella ha richiamato la comunità internazionale alla tutela della sovranità statale e alla ricerca di una pace giusta. Durante la pandemia ha indicato la cooperazione scientifica e sanitaria come nuovo pilastro della sicurezza mondiale.

Frequenti sono nei suoi interventi i riferimenti alla crisi climatica, all’urgenza di politiche sostenibili e alla necessità di un’azione coordinata a livello globale.
Anche la questione migratoria è affrontata con un approccio pragmatico e umanitario, orientato a soluzioni che combinino responsabilità, solidarietà e gestione efficace dei flussi.
IL VALORE DEL RITO DIPLOMATICO
Accanto alla dimensione politica, il discorso al Corpo Diplomatico conserva una forte componente rituale, seguendo un protocollo rigoroso: il Decano, tradizionalmente il rappresentante della Santa Sede, apre con un indirizzo di saluto; il Presidente replica con la propria allocuzione; a seguire, insieme al Ministro degli Esteri, saluta i Capi Missione.
Pur in un contesto formale, l’intervento presidenziale si è trasformato in un momento di indirizzo e interpretazione delle dinamiche internazionali.
I Presidenti invitano a superare divisioni e rivalità, richiamando il dovere comune di perseguire una convivenza pacifica e giusta. L’Italia si presenta, così, come attore responsabile, impegnato nelle alleanze euro-atlantiche e nella sicurezza collettiva.
UNA BIOGRAFIA INTERNAZIONALE DELLA REPUBBLICA
Ogni discorso, pur rispecchiando contesti storici e vincoli istituzionali, contribuisce a costruire la “biografia internazionale” della Repubblica, raccogliendo timori, speranze, e valori da mostrare al mondo.
Non parlano solo agli addetti ai lavori, ma all’intera comunità internazionale. Nella diplomazia discreta ma autorevole del Quirinale si intrecciano storia, identità e futuro del Paese, un patrimonio che si rinnova ogni anno nello sguardo del Presidente verso le nazioni e la storia che siamo chiamati a costruire.

