Il decreto Ilva stanzia 20 milioni di euro per coprire la cassa integrazione e non far fermare gli impianti fino a febbraio 2026. Ma cosa succederà dopo?
Il decreto sull’Ilva approvato dal Governo copre fino al 75% dell’integrazione della cassa integrazione e autorizza l’utilizzo dei fondi del finanziamento ponte per tenere in vita gli impianti fino a febbraio 2026. Ma cosa succederà dopo la gara è ancora un mistero: il nome del potenziale acquirente è un rebus, il piano industriale sembra opaco e il rischio “spezzatino” è sempre dietro l’angolo.
COSA PREVEDE IL DECRETO ILVA
Il decreto Ilva stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026 che consentiranno allo Stato di farsi carico fino al 75% dell’integrazione della cassa d’integrazione per i lavoratori dell’ex Ilva. Un’incombenza che fino ad oggi spettava interamente a Acciaierie d’Italia. Fino a febbraio 2026 l’azienda potrà utilizzare 108 dei 200 milioni di euro del finanziamento ponte, rimasti inutilizzati, per garantire la continuità degli impianti. Nello stesso mese si concluderà la gara per l’assegnazione del gruppo. I restanti fondi del finanziamento ponte sono già stati destinati a interventi sugli altiforni oltre che su manutenzioni e investimenti connessi alla nuova AIA (Autorizzazione integrata ambientale).
COSA SUCCEDE ALL’ILVA DOPO IL 2026?
Misure che garantiranno di tenere aperti gli impianti fino a febbraio 2026. Ma la domanda centrale rimane: Cosa succederà dopo il 2026? Regna ancora il mistero sul possibile acquirente, mentre tiene banco il totonomi. Gli stessi dubbi riguardano anche il piano di riconversione degli impianti dell’ex Ilva. I sindacati sostengono che il piano dell’azienda porterebbe a un “blocco degli impianti del Nord” (Genova, Novi Ligure, ecc.) perché non arriverebbero più materiali grezzi (coil, rotoli) da Taranto da lavorare. Il timore è che, dopo il primo periodo (che prevede CIGS e riqualificazione), non ci sia un vero rilancio produttivo degli stabilimenti. Timori alimentati dalla mancanza di certezze sulle opere strategiche per il rilancio degli asset di Acciaierie d’Italia: le infrastrutture che contribuiranno ad alimentare gli altoforni (polo DRI) e la nave rigassificatrice. Resta ancora in campo anche il rischio che nessuno dei potenziali acquirenti sia in grado di gestire o rilanciare l’intero polo dell’Ilva, costringendo il Governo ad accontentarsi del tanto temuto “spezzatino”, che potrebbe portare alla chiusura dell’altoforno di Taranto e alla fine della produzione di acciaio nazionale
IL NODO AMBIENTALE
Al tempo stesso, il decreto riafferma il principio che gli impianti strategici hanno bisogno di continuità produttiva ma anche obblighi ambientali (es. nuova Autorizzazione Integrata Ambientale integrata dalla valutazione di impatto sanitario). Tuttavia, alcuni osservatori sottolineano che, nonostante richieda obblighi ambientali, non ne garantirebbe pienamente la realizzazione o, addirittura, potrebbe ritardare gli effetti.
LE PROTESTE DEI SINDACATI CONTINUANO
Il decreto non placa le richieste dei sindacati ancora impegnati in giornate di scioperi e manifestazioni da Taranto, a Novi e Cornigliano. Alcune organizzazioni sindacali denunciano che nel decreto sarebbero inseriti emendamenti che anticipano la prescrizione dei crediti del lavoro durante il rapporto (non più solo alla cessazione). Oggi lo sciopero continuerà a Novi ligure e Taranto mentre si interromperà a Cornigliano. «La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si assuma la responsabilità, ritiri il piano di chiusura presentatoci negli scorsi incontri, come condizione per ripristinare il tavolo di confronto a Palazzo Chigi garantendo l’integrità e la continuità produttiva di tutti gli stabilimenti», attaccano i segretari generali di Fim-Cisl Ferdinando Uliano, di Fiom-Cgil Michele De Palma e di Uilm-Uil Rocco Palombella.
«Secondo Urso le Acciaierie verrebbero affidate al nuovo acquirente, ma è un fantasma, non si capisce chi sia e noi abbiamo dubbi sul fatto che esista. Come può essere segreto un soggetto che compra uno dei più grandi gruppi europei dell’acciaio?», ha detto il segretario della Uilm in un’intervista a La Repubblica, sottolineando l’inutilità della riunione del 28 al Mimit perché «Urso ha creato questa situazione e non ha un piano B».
LE REAZIONI DELLA POLITICA
Azione e il Pd bocciano in pieno il decreto. Carlo Calenda su X si spinge oltre, offrendo un aiuto al Governo per «gestire un dossier sul quale ho passato due anni», per evitare di «perdere così il primo impianto industriale del Sud è una follia. La segretaria del Pd Elly Schlein, invece, va all’attacco: «Manca un piano industriale, manca un acquirente. Meloni intervenga e ci metta la faccia, come ama dire».

