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L’Autonomia? Nell’indifferenziata e Meloni si tiene la delega per il Sud
Depositata la sentenza della Corte Costituzionale che “riscrive” la legge Calderoli. Considerati “difficilmente trasferibili” i settori del commercio estero, dell’istruzione, porti, aeroporti, grandi reti infrastrutturali e tutela ambientale. E intanto la premier lancia un segnale tenendo per sé la delega per il Mezzogiorno
E’ tutto da rifare. Autonomia differenziata sì ma solo se ispirata ai principi fondamentali della nostra forma di Stato: “solidarietà, cooperazione e salvaguardia dell’unità nazionale” e “purché sia uno strumento al servizio del bene comune della società e della tutela dei diritti degli individui e delle formazioni sociali”, non di lotta politica. La “bandierina” della Lega, almeno per adesso, è ammainata. “Stangata sull’Autonomia” titola la Stampa, “Unità nazionale da rispettare” incalza Avvenire mentre il Fatto Quotidiano è tranchant: “Autonomia rasa al suolo, la Lega non potrà rifarla”
NON ESISTE “IL POPOLO DELLE REGIONI”
Ma andiamo nel dettaglio. Non ci può essere “il popolo delle Regioni” e il concetto del “popolo unitario”, che fa dell’Italia una Repubblica indivisibile “non può evaporare” con la legge sull’Autonomia differenziata. Così la Corte costituzionale ha stabilito che sono “incostituzionali 7 punti” della legge studiata dal ministro Roberto Calderoli e ha ordinato al Parlamento di riscrivere le parti “bocciate”, tra cui il modo in cui sono stati concepiti i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, con criteri “generici” e “inidonei”. “Ironia della sorte -annota Antonella Mascali del Fatto Quotidiano – li ha ideati l’ex giudice costituzionale Sabino Cassese, cantore della legge bocciata dalla Consulta”.
DELL’IMPIANTO DELLA LEGGE NON RESTA PIU’ NULLA IN PIEDI
Ma cosa resta in piedi dell’impianto della legge, chiede Silvia Truzzi del quotidiano diretto da Marco Travaglio al giurista Antonio D’Andrea, docente di Istituzioni di diritto pubblico all’Università di Brescia. “Praticamente nulla. La Corte ha dichiarato alcune disposizioni illegittime e ha offerto interpretazioni di altre, stabilendo che il processo legislativo per attuare l’Autonomia differenziata non può essere di semplice approvazione o respingimento; il Parlamento deve discutere dettagliatamente. È stato notato che la Corte ha indicato sette ragioni di incostituzionalità e cinque “interpretazioni conformi”, ovvero i criteri necessari per adeguare alla Carta ciò che è scritto nella legge. Dunque dodici disposizioni correttive di una legge che conta undici articoli”.
SALVINI NON SI RASSEGNA, I GOVERNATORI SCALPITANO
Insomma, un bel grattacapo per Matteo Salvini lo sottolinea Massimo Franco nella sua nota per il Corriere della Sera: “Dopo la sentenza della Corte costituzionale la Lega continua a ritenere di potere correggere facilmente la riforma. Sono «solo tredici punti», osserva il governatore del Veneto, Luca Zaia, contrapponendoli alle obiezioni più numerose della Consulta alle regioni che volevano far dichiarare incostituzionale l’intera legge. Secondo il presidente leghista, si tratterebbe solo di «istruzioni per l’uso» facilmente applicabili. In realtà, il Carroccio si sta rendendo conto che alla «sua» riforma si attribuisce un profilo tale da minare l’unità del Paese, non aggirabile”. Dalle parti di Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria, in ogni caso, non si danno per vinti. E così, mentre Calderoli annuncia la ripresa dei negoziati Regioni-governo sulle materie non Lep, gli sherpa starebbero studiando le possibili soluzioni. “Mentre a Roma si gioca la partita politica – annota Ilario Lombardo per la Stampa – i governatori del Nord vogliono soprattutto raggiungere un primo traguardo concreto. Per mostrare, numeri alla mano, che l’autonomia differenziata porta davvero efficienza”.
UNE LEGGE FRETTOLOSA, E LA MELONI SI TIENE LA DELEGA PER IL SUD
E’ stata una legge frettolosa, c’erano delle “evidenze che meritano più attenzione” scrive nella sua analisi per Avvenire, Danilo Paoloni. “Non serviva la Corte costituzionale per capire che non possono (o non possono più) essere affidate a una Regione il commercio con l’estero e quello con altri Stati della Ue, la tutela dell’ambiente, il trattamento dell’energia, la gestione dei porti e degli aeroporti e – in relazione alla necessità dello Stato di mantenere unitario il sistema di istruzione nazionale – la scuola”. Già un bel pasticcio e non è certo un caso che Giorgia Meloni abbia deciso di tenere per sé la delega per il Mezzogiorno. “E’ pronta a lanciare una grande «offensiva» politica, mediatica ed economica nel Meridione” riporta nel suo retroscena Monica Guerzoni per il Corriere della Sera – La sorpresa è saltata fuori in Consiglio dei ministri”. Diverse le motivazioni di questa scelta di sicuro “la crisi del M5S potrebbe liberare un bel gruzzolo di voti che la leader di Fdi punta a intercettare, in vista delle elezioni in Campania e Puglia e, chissà, anche in caso di voto anticipato”.