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Le relazioni fra formazione, ricerca e divulgazione

Ricerca

L’intervento del professor Roberto Cipriani, ordinario di Sociologia presso l’Università degli Studi Roma Tre per la rivista Start Magazine

Lo si può dire già all’inizio: in Italia i problemi dello studio a qualsiasi livello (dalla scuola dell’infanzia all’università) e della ricerca scientifica in qualunque ambito (da quello universitario a quello industriale) sono stati affrontati in maniera adeguata, anche se non esente da aspetti criticabili, quasi solo quando la responsabilità ministeriale in merito è stata affidata a due docenti universitari, già rettori di atenei statali: Antonio Ruberti e Luigi Berlinguer. Anche altri avrebbero potuto incidere maggiormente sulle sorti dell’istruzione e dell’indagine metodologicamente orientata: il filosofo del linguaggio Tullio de Mauro, ad esempio, non ha avuto né risorse né tempi sufficienti per poter lasciare il suo segno.

C’è poi da mettere in conto le alterne vicende che di volta in volta hanno visto unificare le competenze in un unico ministero oppure scorporarle in ministeri separati, dell’istruzione da una parte e dell’università e della ricerca dall’altra. Ovviamente, tutto questo altalenare fra l’una e l’altra soluzione non ha certo giovato alla continuità di visione politica e progettuale, anzi ha creato talora più problemi di quelli presumibilmente risolti con le diverse riforme: da quella di Misasi, poi arenatasi, a quelle di Moratti e Gelmini, giunte in porto.

RUBERTI E BERLINGUER

La stessa storia dei due ministri che più volte hanno avuto la responsabilità del ministero più orientato verso la cultura la dice lunga sulle peripezie che da decenni l’Italia conosce in campo educativo e scientifico.

Ruberti ha iniziato come Ministro senza portafoglio (il che già denota una scarsa attenzione al settore) per la ricerca scientifica e tecnologica, restando in carica meno di un anno (dal 1987 al 1988). Poi è stato Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica dal 1988 fino al 1992. Ha varato una riforma (ovvero la legge 341 del 1990) per il riordino e l’autonomia delle università. In 17 articoli essa riformulava le norme sul diploma universitario e sulle lauree (il cosiddetto 3+2), la specializzazione, il dottorato di ricerca, le scuole a fini speciali, le collaborazioni esterne, il Consiglio Universitario Nazionale (CUN), l’attività di  docenza, il tutorato, i settori scientifico-disciplinari e l’inquadramento dei docenti. Forse la parte più discussa è quella riguardante la laurea triennale seguita dalla laurea specialistica (poi rinominata come magistrale). Intanto però, ancora in assenza di indagini rigorose, complete ed adeguate sul piano dell’andamento temporale degli esiti, un dato resta inequivocabile: il numero dei laureati è andato comunque aumentando rispetto al passato, per di più in un paese come il nostro che non è certo all’avanguardia in Europa per le quote di laureati. È da sottolineare peraltro che Ruberti aveva alle spalle una solida preparazione di base come studioso di teoria dei sistemi e quindi affrontava le diverse questioni in una prospettiva al tempo stesso fortemente scientifica e nettamente mirata a raggiungere l’obiettivo in forma strutturata e stabile. Anche alcune sue pubblicazioni sulla tecnologia e sulle prospettive europee confermano una profonda conoscenza del know how necessario per ogni operazione innovativa. Quando nel 1993 Ruberti divenne Commissario Europeo per la scienza, la ricerca e lo sviluppo e l’istruzione, la formazione e la gioventù preparò il 4° Programma Quadro per la Ricerca, che poi entrò in vigore per il quadriennio 1994-1998. Non solo. Promosse pure due nuovi programmi europei, dopo il successo ottenuto dall’Erasmus: Leonardo e Socrates.

Luigi Berlinguer è stato dapprima Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, per pochi giorni, dal 29 aprile al 4 maggio 1993 e poi Ministro della pubblica istruzione dal 1996 al 2000 e dal 1996 al 1998 ad interim anche Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, avendo quindi un ampio margine di tempo per poter lasciare la sua traccia. Ma non si può non sottolineare ancora una volta il barcamenarsi della compagine governativa tra una responsabilità unica in merito alla formazione (iniziale e finale) ed alla ricerca (accademica e privata) ed una separazione dei settori scolastico ed universitario. Di Berlinguer è la riforma dell’esame di maturità (a partire dal 1999).  Al termine del suo mandato governativo, lo studioso di origine sarda ha pubblicato nel 2001, insieme con Marco Panara, un volume dal titolo La scuola nuova (Laterza).

LE DINAMICHE DELLA FORMAZIONE

Diceva Piaget che gran parte del carattere (ed implicitamente del bagaglio culturale) di una persona si forma nei primi cinque anni di vita, dopo dei quali ogni intervento altrui volto al cambiamento è facilmente destinato all’insuccesso. Se così è, pare evidente che l’accentuata valorizzazione della scuola materna registrata in questi ultimi anni ha segnato un passo decisivo per incrementare le potenzialità orientative, da parte dei maestri e delle maestre, degli atteggiamenti e dei comportamenti dei fanciulli e delle fanciulle loro affidati. In stretta linea di continuità con il mutamento di opinione corrente sull’educazione primaria va dato atto che anche l’università si è attrezzata al riguardo, prevedendo un adeguamento della formazione universitaria, che è passata da quattro a cinque anni, percorso di gran lunga più confacente che non il semplice diploma di scuola secondaria magistrale (conseguibile dopo quattro anni di corso) o di maestra “giardiniera” (in relazione al “giardino d’infanzia” e con una durata ridotta a tre anni).

Invece non si è riusciti a riformare ulteriormente la scuola secondaria di primo e di secondo grado, se non intervenendo solo parzialmente su aspetti curricolari, attraverso il riordino (nel 2010) dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali: vari altri tentativi non sono stati coronati da successo, come invece era avvenuto per la scuola media unica (legge 31 dicembre 1962, n. 1859). In linea di massima gli esperti condividono l’opinione che la formazione scolastica ed universitaria non sia una variabile dipendente solo dall’occupabilità professionale, anche perché le preparazioni troppo allineate con le tendenze estemporanee del mercato rischiano di non intercettare più le richieste e le offerte in atto al momento della conclusione del ciclo formativo. Quest’ultimo, dunque, non è circoscrivibile al puro apprendimento di tecniche ma conviene sia volto anche e soprattutto ad un training basato sulla predisposizione alla risoluzione dei problemi quali che siano, anche al di fuori delle proprie aree di expertise. Per un altro verso la formazione ha da guardare al rafforzamento della convinzione di essere cittadini partecipi della realtà socio-politica e non meri ripetitori di discorsi fatti da altri ed esecutori supini di scelte operate dall’alto.

Va segnalato infine che un nuovo orizzonte si sta aprendo. L’INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione Innovazione e Ricerca Educativa) sta lanciando il service learning attraverso il Progetto Avanguardie educative-dentro/fuori la scuola, che prevede l’inserimento  – nel curriculum scolastico – di attività solidali a favore della soluzione di problemi presenti nelle realtà locali. Qualcosa di simile sta diffondendo anche la Chiesa cattolica con il Progetto Scholas Occurrentes, già attuato da Jorge Mario Bergoglio quando era Arcivescovo di Buenos Aires.

 

Estratto di un articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista cartacea Start Magazine; per informazioni e abbonamenti: info@startmag.it

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