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Migranti: la risposta italiana al fenomeno

Sbarchi

L’analisi di Federica Cagnoli per Affarinternazionali sul ruolo delle Ong nei flussi migratori nel Mediterraneo

I flussi migratori, che hanno nel Mar Mediterraneo uno dei principali teatri d’azione, rappresentano non solo la chiara necessità di creare un sistema in grado di garantire l’osservanza dei principi fondamentali, ma anche lo sviluppo di nuove forme di relazioni, le quali vedono una crescente importanza degli attori non governativi (Ong).

L’EVOLUZIONE DELLE ONG NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

Le Ong attive a livello internazionale hanno ottenuto, grazie alla globalizzazione che ha portato a un aumento di problemi ‘globali’, una notevole capacità di influenzare l’agenda delle relazioni internazionali e così il diritto internazionale.

Difatti, tali organizzazioni si inseriscono per definizione in un contesto che supera le frontiere statali: ciò, insieme allo sviluppo della globalizzazione, permette loro di avere un ruolo di primo piano sulla scena internazionale, con profonde ripercussioni sull’effettiva capacità degli Stati di mantenere il monopolio esclusivo della produzione del diritto internazionale.

A fronte però della crescente importanza delle Ong nello scenario internazionale, si verifica un atteggiamento di netta chiusura di alcuni Stati rispetto al ruolo di queste ultime, forse nell’intento di recuperare importanza nella Comunità internazionale, così come di negazione della dimensione globale di alcuni problemi. Una chiara conseguenza della posizione degli Stati può essere individuata nell’evoluzione dei codici di condotta a cui le Ong sono sottoposte.

I CODICI DI CONDOTTA DELLE ONG

Per poter valutare il ruolo che i codici di condotta hanno sulle Ong è necessario sottolineare che il loro sviluppo nasce dalla volontà di queste di autodisciplinarsi. La creazione di codici da parte dell’autorità statale, come si vedrà con il caso italiano, è una conseguenza successiva.

Considerata la crescente pressione derivante dal loro ruolo giocato nella Comunità internazionale, molte Ong sono costrette a fronteggiare una differenza tra le leggi dello Stato di origine e quelle dei Paesi dove intervengono. Tale conseguenza pone queste organizzazioni in una posizione nella quale diventa fondamentale garantire non solo il rispetto dei principi fondamentali internazionali, ma anche delle norme dei Paesi coinvolti. Da qui, nasce l’esigenza per le Ong di sviluppare una serie di regole standard a cui rivolgersi per la corretta esecuzione delle operazioni sul campo, rispettando le parti interessate e assicurando il rispetto di valori come trasparenza e integrità.

Un esempio di questo genere può essere ritrovato nella World Association of Non-Governmental Organizations, una Ong che ha riconosciuto l’importanza dei punti qui espressi e che ha pertanto deciso di pubblicare nel 2004 il Code of Ethics and Conduct for Ngos, con lo scopo di rappresentare la comunità delle organizzazioni non governative e di avere un documento che potesse dare un’attuazione più ampia e globale delle misure espresse. Tra i molti punti indicati in questo codice si individuano sia i principi che devono guidare le Ong sia le pratiche da seguire per regolare, ad esempio, i rapporti con le agenzie governative o le forme di finanziamento.

Grazie ai codici di condotta diventa possibile per queste organizzazioni delineare le responsabilità che le contraddistinguono sulla scena internazionale e quindi stabilire il ruolo che hanno rispetto agli Stati. In ogni caso, nonostante gli sforzi di alcune organizzazioni nel creare un sistema condiviso a livello internazionale, tali codici nascono dall’impegno delle Ong, pertanto, sono strumenti non vincolanti che non possono includere meccanismi di controllo e garantire un’applicazione uniforme.

IL CASO ITALIANO: UNA BUONA SOLUZIONE?

Nel 2017 le autorità italiane hanno scritto il Codice di Condotta per le Ong impegnate nelle operazioni di salvataggio dei migranti in mare, un testo non vincolante, per garantire che le navi delle Ong impegnate nelle attività di Search and Rescue (Sar) – cioè quell’insieme di operazioni di soccorso in mare effettuate sia con mezzi navali che aerei – rispettassero una serie di regole prestabilite, cercando così anche di gestire gli effetti della crisi migratoria.

Data la polemica sorta per alcune disposizioni previste dal codice, giudicate da molte Ong lontane dai principi umanitari e dalle leggi internazionali del mare a cui esse si ispirano, sono poche le organizzazioni ad averlo sottoscritto. Infatti, uno dei punti più dibattuti vieta alle organizzazioni di entrare in acque territoriali libiche a meno che non si riscontri una circostanza eccezionale.

Ciò può creare una situazione di pericolo per la vita dei migranti poiché le persone recuperate dalla Guardia costiera libica vengono riportate in territorio libico, nel quale mancano le caratteristiche del ‘porto sicuro‘. Inoltre, secondo il codice, per le Ong è anche inammissibile inviare segnalazioni luminose o avere comunicazioni con imbarcazioni che trasportano migranti allo scopo di facilitare le operazioni di imbarco.

Questo, però, come afferma lo stesso codice sottolineando che l’impegno può essere derogato “per preservare la sicurezza della vita in mare”, è contrario alle principali norme del diritto internazionale del mare: è fondamentale garantire la sicurezza di navigazione, oltre a permettere il normale svolgimento delle operazioni Sar.

Dunque, dall’analisi di questo codice si evidenziano due elementi. Da un lato si rileva che la gestione del fenomeno migratorio è ancora lungi dall’aver individuato una linea d’azione comune: sebbene non vincolante, il codice non risponde alle esigenze che si stanno sviluppando nel Mediterraneo e, di riflesso, in Europa. Dall’altro è manifesta l’ostilità dell’Italia a instaurare un dialogo con queste organizzazioni per migliorare le attività di coordinamento e, perciò, ne emerge la necessità di individuare una soluzione sovrastatale che coinvolga pienamente anche l’Ue.

Come si è visto, i codici di condotta rappresentano un’importante risposta all’evoluzione della Comunità internazionale da parte delle Ong che vogliono dichiarare la propria posizione e formarsi come soggetti dotati di responsabilità. La reazione dell’Italia dimostra però una tendenza diversa che mira a circoscrivere il raggio di azione di tali organizzazioni.

In questo sistema internazionale globalizzato, caratterizzato da nuove forme di relazioni e trasformazioni repentine, tale ‘braccio di ferro’ rappresenta la necessità di individuare strumenti capaci di rispondere in maniera adeguata e uniforme ai cambiamenti in atto, bilanciando gli interessi degli attori e affermando il rispetto dei principi internazionali.

 

Articolo pubblicato su affarinternazionali.it

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