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Pane fresco, ecco il ddl a firma del Movimento 5 Stelle
Analisi articolo per articolo del ddl al vaglio della commissione Industria del Senato che aggiorna le norme sulla produzione e sulla vendita del pane
I Romani lo associavano ai giochi circensi per ammansire il popolo e Maria Antonietta pare lo volesse scambiare – vanamente – con le brioche. Aneddoti e proverbi si moltiplicano quando si parla del pane, alimento diffuso a ogni latitudine e che in Italia gode di grande tradizione. Ora il Parlamento sta lavorando a un provvedimento per aggiornare le norme su questo prodotto, di cui negli ultimi anni si è assistito a un proliferare di tipologie: non più solo pane fresco ma anche parzialmente cotto, pane di pasta madre e pane senza lievito, pane ai cereali e pane di grano duro e l’elenco potrebbe proseguire includendo anche le varietà locali ed etniche. Il ddl, presentato dai senatori del Movimento Cinque Stelle Mollame, Abate, Trentacoste, Castaldi e Girotto, è al vaglio della commissione Industria di Palazzo Madama, relatore il pentastellato Sergio Vaccaro. Il 25 febbraio scade il termine per la presentazione degli emendamenti.
Dal 2007, scrivono gli estensori del provvedimento, si attendono chiarimenti per migliorare l’informazione su questo argomento così che il consumatore sia più consapevole al momento dell’acquisto e le aziende del settore possano aumentare e valorizzare le peculiarità artigianali dell’attività e dei prodotti realizzati. Del resto si tratta anche di un settore con numeri di tutto rispetto: oltre 200 specialità, di cui 95 già iscritte nell’elenco del ministero per le Politiche agricole, alimentari e forestali; 7 miliardi di fatturato; 400 mila addetti in 25 mila imprese – quasi tutte a carattere familiare – con una media di circa 100 chilogrammi di pane sfornato ogni giorno.
Vediamo, articolo per articolo, cosa prevede il ddl dal titolo “Norme in materia di produzione e vendita del pane”
Articolo 1 – FINALITÀ
Il ddl ha come obiettivo quello di “garantire il diritto ad una corretta informazione da parte dei consumatori e di valorizzare il pane fresco italiano” che è “frutto del lavoro e dell’insieme delle competenze, delle conoscenze, delle pratiche e delle tradizioni” e che “costituisce un patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare negli aspetti di sostenibilità sociale, economica, produttiva, ambientale e culturale“.
Articolo 2 – DIVERSE DEFINIZIONI DI PANE
L’articolo 2 è dedicato alle diverse definizioni di pane. In particolare, per il pane fresco italiano è ritenuto continuo “il processo di produzione per il quale non intercorre un intervallo di tempo superiore a settantadue ore dall’inizio della lavorazione fino al momento della messa in vendita del prodotto”. Il “pane di pasta madre” è quello che è stato prodotto “mediante l’utilizzo esclusivo, ai fini della fermentazione dell’impasto, di pasta madre di cui all’articolo 5, comma 5, e senza ulteriori aggiunte di altri agenti lievitanti”. La definizione di “pane con pasta madre” è perciò riservata al pane che è stato prodotto utilizzando contestualmente pasta madre e lieviti come indicato nell’articolo 5 del ddl, in proporzioni variabili tra loro. Il terzo comma vieta l’utilizzo in commercio della denominazione di “pane fresco” per il pane destinato alla messa in vendita oltre le ventiquattro ore successive alla fine del processo produttivo “indipendentemente dalle modalità di conservazione adottate” e per il pane messo in vendita in seguito al completamento della cottura di pane parzialmente cotto, comunque conservato. Stesso divieto per il pane ottenuto dalla cottura di prodotti intermedi di panificazione, comunque siano conservati. No anche all’uso delle denominazioni “pane di giornata”, “pane appena sfornato” e “pane caldo” e di “qualsiasi altra denominazione che possa indurre in inganno il consumatore”.
Per quanto riguarda il pane ottenuto da una cottura parziale, se è destinato al consumatore finale, deve essere contenuto in imballaggi singolarmente preconfezionati che abbiano etichetta con le indicazioni previste dalle disposizioni vigenti e, in modo evidente, la denominazione di “pane” completata dalla dicitura “parzialmente cotto”, l’avvertenza che il prodotto deve essere consumato previa ulteriore cottura e l’indicazione delle modalità. Nel caso di prodotto surgelato, oltre a quanto previsto per il pane ottenuto da cottura parziale, l’etichetta deve riportare le indicazioni previste dalla normativa vigente in materia di prodotti alimentari surgelati e la dicitura “surgelato”. Nel comma successivo si passa alle sanzioni per chi viola gli obblighi – multa che va 500 a 3.000 euro – che si trasforma in sospensione dell’attività di vendita fino a 20 giorni in caso di “violazioni di particolare gravità o di reiterazione”. Inoltre si prevede che i prodotti ottenuti dalla cottura di impasti preparati con farine alimentari, compresi quelli miscelati con sfarinati di grano, debbano essere venduti specificando da quale vegetale proviene la farina impiegata e – se vengono aggiunti altri ingredienti alimentari – allo stesso modo devono essere menzionati nell’etichetta.
Articolo 3 – DEFINIZIONE DI PRODOTTO INTERMEDIO DI LAVORAZIONE
Viene definito “prodotto intermedio di panificazione” l’impasto – che sia o meno preformato o lievitato – destinato alla conservazione prolungata e alla successiva cottura per ricavarne del pane. È tale l’impasto sottoposto a congelamento, surgelazione o ad altri metodi di conservazione che mantengano inalterate le caratteristiche del prodotto intermedio per “prolungati periodi di tempo, determinando un’effettiva interruzione del ciclo produttivo”. Nel caso in cui un’impresa provveda a far lievitare e a cuocere o solo a cuocere un prodotto intermedio di panificazione, il pane così ottenuto deve essere commercializzato in scaffali distinti e separati dal pane fresco in cui si indichi che si tratta di “pane ottenuto da cottura di impasti” e si evidenzi il metodo di conservazione utilizzato.
Articolo 4 – DEFINIZIONE DI PANE CONSERVATO O A DURABILITÀ PROLUNGATA
Si prevede che “il pane sottoposto a trattamenti che ne aumentino la durabilità” sia messo in vendita con dicitura apposita in cui si illustri pure lo stato o il metodo di conservazione e in scomparti appositamente riservati.
Articolo 5 – DEFINIZIONE DI PRODOTTI UTILIZZABILI NELLA LIEVITAZIONE PER LA PANIFICAZIONE
Si passa poi alla definizione dei prodotti per la lievitazione del pane. Si comincia con quella generale di lievito che è un “organismo unicellulare, tassonomicamente appartenente, non limitatamente, alla specie Saccharomyces cerevisiae, avente la capacità di fermentare gli zuccheri derivanti dalla degradazione dell’amido in alcool e in anidride carbonica, assicurando la formazione della pasta convenientemente lievitata”. La produzione di lievito – si precisa – deve essere ottenuta a partire da microrganismi presenti in natura, “coltivati su substrati provenienti da prodotti di origine agricola”. È ammesso l’uso di specie di lievito “tassonomicamente affini alla specie Saccharomyces cerevisiae e con simile capacità di fermentazione”. Sul fronte del lievito che si può usare nella panificazione, denominato anche “lievito fresco” o “lievito compresso”, si nota che deve essere costituito da “cellule in massima parte vive e vitali con adeguato potere fermentativo, con umidità non superiore al 75 per cento e con ceneri non superiori all’8 per cento riferito alla sostanza secca”.
Spazio poi alla crema di lievito, denominata anche “lievito liquido”, che deve essere costituita da “cellule in massima parte vive e vitali con adeguato potere fermentativo, con umidità non superiore all’83 per cento e con ceneri non superiori all’8 per cento riferito alla sostanza secca”. Il lievito secco deve invece essere costituito da “cellule in massima parte vive e con adeguato potere fermentativo, con umidità non superiore all’8 per cento e con ceneri non superiori all’8 per cento riferito alla sostanza secca. Può esistere sia nella forma attiva, da reidratare nell’acqua prima dell’uso, o istantanea, da aggiungere direttamente all’impasto”.
Viene invece definito “pasta madre” o “lievito naturale” l’impasto ottenuto con farina e acqua e “sottoposto a una lunga fermentazione naturale acidificante utilizzando la tecnica dei rinfreschi successivi al fine di consentire la lievitazione dell’impasto”. La fermentazione deve avvenire solo a opera di microrganismi endogeni della farina o di origine ambientale. Ammesso l’uso di colture di avviamento (starter) costituite da “batteri lattici, senza materiale di supporto ed esenti da contaminanti”.
Articolo 6 – DEFINIZIONE DI PASTA MADRE ESSICCATA
Si prevede l’utilizzo della pasta madre essiccata purché rientri nelle caratteristiche inserite nell’articolo precedente e poi sottoposta a trattamento di essiccazione. Per la lievitazione si prevede che venga “integrata con il lievito”.
Articolo 7 – DEFINIZIONE DI ATTIVITÀ DI PANIFICIO E DI MODALITÀ DI VENDITA
Con questo articolo si normano le caratteristiche e le attività del panificio che è un “impianto di produzione del pane, degli impasti da pane e dei prodotti da forno assimilati, dolci e salati, che svolge l’intero ciclo di produzione a partire dalla lavorazione delle materie prime sino alla cottura finale”. Per avviare un nuovo panificio o trasformarne uno esistente occorre la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), che è disciplinata dal decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222. Il titolare del panificio può anche vendere allo stato sfuso i suoi prodotti per il consumo immediato osservando le prescrizioni igienico-sanitarie. Si prevede poi che il pane fresco sia messo in vendita in scaffali distinti e separati rispetto a quello ottenuto dal prodotto intermedio di panificazione e lo stesso vale per il pane ottenuto mediante completamento di cottura di pane parzialmente cotto, surgelato o no, che deve avere confezionamento ed etichettatura con le indicazioni previste dalla normativa vigente in materia di prodotti alimentari.
Articolo 8 – DEFINIZIONE DEI COMPITI DEL RESPONSABILE DELL’ATTIVITÀ PRODUTTIVA
Si definiscono qui i compiti del responsabile dell’attività di produzione del pane che deve essere il titolare dell’impresa o un suo collaboratore familiare, socio o lavoratore dipendente dell’impresa di panificazione designato dal legale rappresentante dell’impresa stessa al momento in cui viene presentata la SCIA. Il responsabile – che deve essere uno per ogni panificio e per ogni unità locale di un impianto in cui si trovi un laboratorio ad hoc – è tenuto ad assicurarsi che vengano usate materie prime in conformità alle norme vigenti e che si osservino le norme igienico-sanitarie e la qualità del prodotto finito.
Per quanto riguarda la formazione, ha l’obbligo di frequentare un corso di formazione professionale, accreditato dalla regione o dalla provincia autonoma competente per territorio, di cui contenuto e durata sono deliberati dalla giunta regionale o della provincia autonoma con apposito provvedimento e dopo aver sentito le associazioni di rappresentanza e di categoria più rappresentative a livello territoriale. È invece esonerato dal corso formativo chi ha lavorato per almeno tre anni in un’impresa di panificazione con la qualifica di operaio panettiere o con una qualifica superiore (secondo la disciplina dei contratti collettivi di lavoro in vigore) o chi ha praticato per almeno tre anni l’attività di panificazione come titolare, collaboratore familiare o socio prestatore d’opera con mansioni di carattere produttivo. Può fare a meno del corso pure chi possiede un diploma in materie attinenti all’attività di panificazione, chi ha un diploma di qualifica di istruzione professionale in materie attinenti all’attività di panificazione e ha lavorato per almeno un anno in imprese del settore, chi ha conseguito un attestato di qualifica in materie attinenti all’attività di panificazione o al profilo di panificatore – in base agli standard professionali della regione o della provincia autonoma- e ha operato per almeno un anno in un’azienda del comparto.
Esonero pure per chi viene affiancato dal responsabile dell’attività produttiva nella quale è subentrato. Infine, si stabilisce che il responsabile dell’attività produttiva svolga la propria attività in completa autonomia per quanto riguarda la gestione, l’organizzazione e l’attuazione della produzione.
Articolo 9: MUTUO RICONOSCIMENTO
Si precisa che, fermo restando quanto previsto dal regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sull’igiene dei prodotti alimentari, queste disposizioni non si applicano ai prodotti “legalmente fabbricati o commercializzati” negli altri Stati dell’Unione europea o in uno Stato membro dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), parte contraente dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE).
Articolo 10 – DEFINIZIONE DI PANE FRESCO TRADIZIONALE
Si procede alla denominazione di “pane fresco tradizionale” che corrisponde ai “tipi di pane tradizionali tipici locali identificati dalle regioni ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173, e del regolamento di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole 8 settembre 1999, n. 350, riportati negli elenchi regionali e inseriti nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari istituito dal citato regolamento” purché non contengano ingredienti per la conservazione o per la durabilità prolungata o siano stati sottoposti ad altri trattamenti “a effetto conservante”.
La stessa denominazione può applicarsi ai “tipi di pane riconosciuti ai sensi della normativa dell’Unione europea in materia di denominazione di origine protetta, di indicazione geografica protetta e di specialità tradizionale garantita” purché prodotti nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, lettera a), ovvero che abbia un processo di produzione continuo. Alle regioni, su proposta delle associazioni territoriali di rappresentanza della categoria aderenti alle organizzazioni imprenditoriali più diffuse a livello nazionale, spetta il compito di riconoscere i disciplinari di produzione dei tipi di pane.
Articolo 11 – DISPOSIZIONI SULLA VIGILANZA
A vigilare sull’attuazione della legge sono chiamate le aziende sanitarie locali e i comuni competenti per territorio, “cui spettano i proventi derivanti dall’applicazione di eventuali sanzioni amministrative stabilite dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, per la violazione delle disposizioni”. Sono escluse le sanzioni previste dall’articolo 2. Si precisa inoltre che non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Articolo 12 – DISPOSIZIONI SU ADEGUAMENTO ALLA NORMATIVA REGIONALE CON CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA PER REGIONI A STATUTO SPECIALE E PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO
Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, le regioni sono tenute ad adeguare la propria legislazione ai principi in essa contenuti. La stessa norma è prevista per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano “compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione“.
Articolo 13 – DISPOSIZIONI PER ADEGUARE REGOLAMENTO IN DPR 30 NOVEMBRE 1998, n. 502
Il Governo, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, farà le modifiche necessarie per adeguare il regolamento presente nel decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 1998, n. 502, che ha rivisto la precedente normativa in materia di lavorazione e commercio del pane.
Articolo 14 – RELATIVE ABROGAZIONI
Vengono abrogati gli articoli 14 e 21 (relativi al pane) della legge 4 luglio 1967, n. 580, che disciplina la lavorazione e il commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari; l’articolo 8 (sul lievito) del regolamento contenuto nel Dpr 30 novembre 1998, n. 502; l’articolo 4 (sulla liberalizzazione dell’attività di produzione di pane) del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, il decreto Bersani sulle liberalizzazioni poi convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248.
Articolo 15 – ENTRATA IN VIGORE
Si dispone che la legge entri in vigore dal sessantesimo giorno dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.