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Perchè Confedilizia e Tajani non vogliono la tassa sugli affitti brevi

Il testo definitivo della Legge di Bilancio 2026 è stato bollinato dalla Ragioneria dello Stato. I retroscena dell’acceso braccio di ferro parlamentare che ha visto Lega e Forza Italia schierate nel tentativo di bloccare l’aumento della cedolare secca dal 21% al 26% per tutti gli affitti brevi ha portato a una soluzione di compromesso

La cedolare secca salirà al 26% per (quasi) tutti coloro che si occupano di affitti brevi e decidono di affittare la propria prima casa attraverso canali tracciabili — ovvero portali telematici come Airbnb, Booking, Vrbo — o affidandosi a intermediari immobiliari. Per tutti gli altri, invece, la cedolare resta stabile al 21%. Ma chi sono questi rari “fortunati”? E soprattutto, come regolano i loro affitti per ottenere questo “vantaggio”?

LA CONTESTATA MISURA

Forza Italia e Lega avevano promesso di bloccare l’aumento della cedolare secca per gli affitti brevi, ma la misura è passata comunque: il 26% per chi affitta su piattaforme tracciabili, il 21% per chi resta nel sommerso. Una soluzione che salva la faccia dei partiti che si opponevano all’aumento, ma lascia intatto il problema di fondo. Se l’obiettivo era regolare il settore degli affitti brevi, ridurre l’evasione e aumentare il controllo, allora questa manovra sembra andare esattamente nella direzione opposta.

Ad opporsi a questo aumento sono stati, tra gli altri, il vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia (il sindacato dei proprietari immobiliari). Entrambi hanno criticato la misura definendola “un intervento che non risolve il problema, ma crea nuove distorsioni” e una norma che “penalizza i proprietari in modo né giusto né utile”. Ma la battaglia non si è limitata alle dichiarazioni. Tajani, presentando alla Camera gli “Stati Generali della casa” organizzati da Forza Italia, ha ribadito che “il testo va cambiato, non voteremo mai in Parlamento questa misura”, definendo la casa “un bene prezioso, una questione di principio”.

Da giorni la segreteria del partito discuteva del tema, e il leader azzurro ha parlato con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ieri per tentare un dietrofront. Alla fine, però, la misura è passata, anche se in forma rimaneggiata. Chi opera in regola, affidandosi a piattaforme conosciute e tracciabili — come Airbnb che, per inciso, già dall’anno scorso trattiene l’imposta alla fonte e la versa allo Stato — viene penalizzato con un’aliquota più alta. Chi invece lavora al di fuori dei circuiti ufficiali, magari su Facebook o tramite conoscenze personali, spesso in nero o comunque con meno controllo, paga l’aliquota al 21%. Insomma, un paradosso tutto italiano che il responsabile del Turismo di Forza Italia Carlo De Romanis ha chiosato con ironia “Forse al Mef sono rimasti ai tempi dei cartelli ‘Affittasi'”. Una frecciatina che riassume bene le critiche: il Ministero dell’Economia sta ragionando con categorie vecchie, ignorando totalmente la realtà digitale delle nuove forme di locazione.

IL PARADOSSO: UN DOPPIO BINARIO FISCALE PER LO STESSO REDDITO

Il risultato è che due persone che affittano lo stesso tipo di appartamento, nello stesso periodo e allo stesso prezzo, vengono tassate in modo diverso: una usa Airbnb e paga il 26%, l’altra si organizza tramite conoscenze e paga il 21%. Eppure il reddito è lo stesso, cambia solo il mezzo con cui lo si ottiene. Se la tassazione dovrebbe, di norma, riguardare il reddito e non la piattaforma con cui si genera, allora questa rettifica normativa sembra tassare la trasparenza invece del guadagno. 

CEDOLARE SECCA, IL COMPROMESSO CHE PENALIZZA LA TRASPARENZA 

Questa misura sembra una pezza politica messa per accontentare un po’ tutti (o nessuno), senza affrontare davvero i problemi del settore delle locazioni turistiche extralberghiere. Non a caso, anche AIGAB — l’Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi — ha bollato la modifica come una “correzione inutile”, definendola “una patrimoniale mascherata”. Di certo non è una scelta che aiuta né con la lotta all’evasione, né con l’equità fiscale, né con la semplificazione. Sembra piuttosto una mossa di sopravvivenza politica: calmare i sindaci preoccupati per il caro-affitti, non scontentare gli albergatori e, nel frattempo, non rompere l’unità della maggioranza. Ma, come spesso accade, quando la politica media tra interessi contrapposti a rimetterci non è solo la logica ma, come in questo caso, anche la trasparenza.

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