Il centrosinistra unito mostra di poter contendere il campo al centrodestra, mentre la maggioranza accelera sulla riforma elettorale. La corsa alle politiche del 2027 è ufficialmente cominciata
Le elezioni in Puglia, Campania e Veneto hanno riacceso l’attenzione dei partiti sul prossimo appuntamento nazionale, le politiche del 2027. Il centrosinistra ha scoperto che, quando corre compatto, può davvero competere; mentre il centrodestra, alla prova dei risultati, valuta la possibilità di intervenire sulle regole del voto. È così che la legge elettorale è tornata al centro del dibattito politico e che l’ipotesi di modificarla e’ diventata la questione più sensibile del dopo-regionali.
COME FUNZIONA LA LEGGE ATTUALE
L’Italia vota dal 2017 con il “Rosatellum”, una legge elettorale mista che combina maggioritario e proporzionale. Circa un terzo dei seggi è assegnato nei collegi uninominali: vince il candidato che ottiene anche un solo voto in più. I restanti seggi sono distribuiti proporzionalmente ai voti ottenuti dalle liste. Questo sistema ha storicamente favorito le coalizioni capaci di conquistare molti collegi uninominali, garantendo una maggioranza parlamentare anche senza percentuali altissime a livello nazionale. Il risultato delle regionali, che ha mostrato un centrosinistra competitivo in più territori, ha quindi rimesso in discussione gli equilibri che l’attuale sistema ha prodotto.
LA PROPOSTA DELLA MAGGIORANZA
Dopo le regionali, il centrodestra sembra voler accelerare sulla riforma elettorale. La motivazione politica è stata sintetizzata dal Responsabile dell’Organizzazione di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli “se si votasse oggi non ci sarebbe la stessa stabilità che abbiamo ora”. Una dichiarazione che sintetizza le priorità del centro destra e che apre il confronto con l’opposizione, convinta che la riforma proposta risponda più ad un calcolo politico che a reali esigenze di sistema.
Secondo indiscrezioni riportate prima da Repubblica e poi dal manifesto, nei tavoli della maggioranza circolano bozze che prevedono l’abolizione dei collegi uninominali, il passaggio a un sistema proporzionale “puro” e, inoltre, un premio di maggioranza alla coalizione che superi circa il 40%, così da garantirle circa il 55% dei seggi. In alcune ipotesi il premio potrebbe essere “mobile”: più alta la percentuale di voti, maggiore la quota di seggi assegnata.
IL NODO SUI COLLEGI UNINOMINALI E SUL CANDIDATO PREMIER
Dal punto di vista di Fratelli d’Italia, i collegi uninominali significano un lavoro sfiancante di mediazione con gli alleati per spartirsi la distribuzione dei candidati. E con un centrosinistra unito, un rischio che la premier vuole evitare a tutti i costi. La Lega invece ha l’esigenza di blindare il peso delle proprie roccaforti al Nord. A fronte di un consenso che negli ultimi anni è drasticamente calato, il segretario Salvini ha mantenuto la leadership del partito e il potere contrattuale nella maggioranza proprio grazie alle vittorie nei collegi uninominali, che con l’attuale legge assegnano il 37% degli eletti.
Un altro nodo ancora da sciogliere è l’eventuale presenza del nome del candidato premier sulla scheda. All’interno della maggioranza ci sono posizioni diverse, ma l’ipotesi sarebbe sostenuta da Giorgia Meloni e da molti dei suoi fedelissimi. Anche perché sarebbe una scelta che da un lato potrebbe permettere alla premier di capitalizzare sulla propria popolarità e che, allo stesso tempo, evidenzierebbe l’incertezza del campo avversario, che non ha ancora una leadership condivisa.
LE CRITICHE DELL’OPPOSIZIONE
Per l’opposizione, la riforma è un tentativo di cambiare le regole mentre la partita è in corso. La critica più esplicita arriva dal Responsabile Organizzazione del PD, Igor Taruffi, che ha dichiarato: “vogliono cambiare la legge elettorale perché sanno, e oggi dopo il voto in Puglia e in Campania lo sanno ancora di più, che non vincerebbero le elezioni”. In un altro intervento Taruffi ha sostenuto che l’attuale legge “ha dimostrato che chi vince può governare”, e che modificarla ora “appare come una scelta di tornaconto del centrodestra”. Alla diffidenza si somma la scelta del centrodestra di non partecipare a un convegno pubblico sulla riforma organizzato da +Europa. Una scelta che, secondo il Manifesto, è stata interpretata come un segnale di scarsa trasparenza: la maggioranza starebbe “giocando a carte coperte” con bozze non ancora rese pubbliche.
Resta inoltre aperto il tema della leadership nel campo largo. Il Movimento 5 Stelle, indebolito dal risultato negativo in Campania, fatica a rivendicare un ruolo di guida per Giuseppe Conte. Elly Schlein, al contrario, esce rafforzata dal buon risultato nelle regioni dove l’alleanza ha funzionato. In questo contesto, il dibattito sulla riforma elettorale — compresa l’ipotesi di indicare il nome del candidato premier sulla scheda — assume per entrambi i poli un peso strategico che potrebbe incidere sulla costruzione delle coalizioni in vista del 2027.

