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Perché in Repubblica Ceca il governo Babiš fatica a nascere

Se le trattative vanno in porto, alla guida del prossimo esecutivo in Repubblica Ceca potrebbero esserci Andrej Babiš, slovacco di nascita e leader di ANO, una forza populista di destra; il ceco-giapponese Okamura di Spd, nazionalista e di destra; e Motoristé sobě, un partito più regionale e populista che ideologico, rappresentato da Filip Turek, il cui cognome significa in ceco “il Turco”. Tutti profili dalle “radici internazionali” per sventolare la bandiera del nazionalismo ceco. Sembra quasi l’inizio di una barzelletta, eppure è il risultato delle elezioni e di una coalizione (quasi) pronta per il parlamento


Le elezioni in Repubblica Ceca si sono concluse e il 68,95% degli aventi diritto, ovvero 5.621.717 cittadini cechi, si è recato alle urne. La vittoria di ANO riporta in gioco un leader amato quanto contestato ma, soprattutto, mai davvero uscito di scena: Andrej Babiš. Dalle vecchie accuse di collaborazione con i servizi segreti della Cecoslovacchia (StB, allora affiliati a KGB), al processo ancora in corso per frode dei fondi UE destinati alle piccole imprese, fino all’accusa di conflitto d’interessi lanciata da Bruxelles nel corso del suo passato mandato. Insomma, tutto e di più non è servito a frenare l’elettorato ceco dal portarlo in trionfo. Gli 80 seggi conquistati fanno ben sperare a Babiš che, facendo gioco di squadra, sarà possibile guidare la partita parlamentare. Non e’ ancora chiaro quale sarà la composizione della coalizione, ma sembra probabile che collaborerà con SPD e Motoristé sobě (Automobilisti per se stessi).

BABIŠ STRAVINCE: DESTRA POPULISTA IN CAMPO, SPOLU IN PANCHINA, SINISTRA ASSENTE

Le elezioni parlamentari del 3 e 4 ottobre in Repubblica Ceca hanno sancito la vittoria — prevista quasi al millesimo dai sondaggi — del partito populista di destra ANO, guidato dall’imprenditore-oligarca Andrej Babiš. Ha raccolto oltre 1,9 milioni di voti, pari al 34,5% dei consensi e equivalenti a 80 seggi. La coalizione di centrodestra uscente guidata da Petr Fiala, Spolu (Insieme), ha preso un 23,3%: non una caduta libera rispetto ai risultati del 2021 (27,8%) ma abbastanza solo per un posto all’opposizione, con 52 poltrone. Motoristé sobě  (Automobilisti per se stessi) hanno preso poco meno del 7% con 13 seggi: Babiš strizza loro l’occhiolino e li sceglie come interlocutori prediletti. Insieme a Spd, il partito guidato dal nazionalista ceco-giapponese Tomio Okamura, che si ferma poco sotto l’8% e ottiene 15 seggi. L’unica sorpresa rispetto ai sondaggi e’ Stacilo! (Basta!) la coalizione di sinistra radicale rimasta sotto la soglia di sbarramento, traducendo in zero poltrone quel vuoto a sinistra percepito ben prima del conteggio delle schede.

GOVERNO: LA PARTITA DELLE COALIZIONI

La formazione del nuovo parlamento ceco, dopo la vittoria di Babiš, è ancora tutta da definire. Per ora le ipotesi di coalizione guardano verso Spd e Automobilisti, ma le cose sembrano andare per le lunghe. Filip Turek, Presidente del Jaguar Fan club ceco, ex pilota oggi “in corsa” con il partito degli Automobilisti, era la persona scelta da Babiš per guidare l’esecutivo, ma è finito sotto inchiesta per incitamento all’odio e alla discriminazione. Le ragioni: alcuni articoli pubblicati dal sito Denik N che hanno messo sotto i riflettori vecchi post pubblicati su Facebook dal pilota, poi cancellati, dai toni decisamente controversi. Insomma, un passato social poco rassicurante su cui è in corso una valutazione parlamentare che, almeno per ora, non sembra minare la coalizione nascente, ma di certo ne rallenta la corsa.

I PUNTI CHIAVE DEL PROGRAMMA ELETTORALE “GALEOTTO” 

Il programma elettorale che ha portato Babiš e ANO alla vittoria non presenta grandi svolte ideologiche. Il suo pregio e’ tutto nella centralità data alle questioni sociali ed economiche che toccano la pancia dell’elettorato. E perché “tutto il mondo è paese”, la ricetta è la stessa ovunque: meno tasse, più pensioni, taglio ai costi dell’energia e, ciliegina sulla torta, rilanciata in campagna elettorale ma rimasta fuori dal programma, l’abolizione del canone televisivo. Una proposta molto popolare, certo, ma in Repubblica Ceca molto contestata da Spolu, che teme possa mettere tv e radio pubbliche sotto una maggiore dipendenza dal governo.

Si prosegue poi con un deciso passo indietro  — e subito dopo a destra  — una sorta di “mossa del cavallo” per sganciarsi dall’UE. Non si tratta certo dell’uscita dalla NATO paventata da alcuni estremisti in campagna elettorale, ma piuttosto di una presa di posizione strategicamente più sovranista che internazionale. Ultimo, ma non per importanza, interrompere il supporto a Kiev: in primis il rifornimento di munizioni che, sotto l’esecutivo di Fiala, e’ stato tra i più massicci d’Europa. Insomma, ciò che piace a Bruxelles non è gradito all’elettorato medio ceco e viceversa.

Ciò che accomuna però, un po’ tutti i vincitori di queste elezioni — da Babiš a Spd passando per gli Automobilisti per se stessi (nome parlante, in questo caso) — è una deriva dal sapore “luddista e al carbone”: cioè una certa resistenza alle innovazioni energetiche e tecnologiche, incluso l’elettrico. Se pure raccoglie consensi, questa visione è un autentico freno a mano per la Commissione europea che preme invece sull’acceleratore affinché l’Europa spalanchi le braccia all’elettrico: produzione e adozione. D’altronde, quando si considera che l’industria automobilistica vale quasi il 10% del PIL, si capisce come per i cechi il Green Deal non rappresenti solo una benedizione, ma anche una vera scossa per l’economia nazionale e per migliaia di lavoratori del settore.

DEI PROCESSI E DELLE PENE (A CARICO DI BABIŠ)

Gli scandali, le frodi e le accuse che pendono sull’ombra di Babiš restano con interrogativi aperti e processi ancora in corso. Uno su tutti, il caso “Čapí Hnízdo“,  in ceco “Nido della cicogna”, che prende il nome da un resort immerso nella natura, non lontano da Praga, di proprietà della famiglia Babiš. Il processo per frode, risalente al 2008 ma ancora al vaglio, riguarda proprio quella struttura: secondo gli inquirenti vi sarebbe stato un passaggio di proprietà al solo scopo di ottenere fondi UE destinati alle piccole imprese, per un ammontare di circa due milioni di euro.

L’altra questione tornata a bussare all’indomani della vittoria è quella del conflitto di interessi. Babiš, infatti, possiede — da poco e di nuovo — il 100 % di Agrofert, il colosso dell’agroalimentare ceco. La polemica è esplosa a pochi giorni dalla discussione della legge di bilancio a Praga, dove si parla tra le altre cose anche di sussidi agricoli e fondi europei. Agrofert è stata beneficiaria, nel 2024, di circa 59 milioni di euro provenienti da quei stessi fondi e, qualora Babiš tornasse a ricoprire l’incarico di primo ministro, si configurerebbe un chiaro conflitto d’interessi. Già nel 2021, la Commissione Europea aveva stabilito che il doppio ruolo di Babiš — come premier e proprietario di Agrofert — violava le norme europee. E anche secondo la legge ceca, la sua candidatura a primo ministro sarebbe incostituzionale. Una situazione che evidenzia come la linea (sottilissima) tra politica e interessi privati rimanga una spada di Damocle per il leader ceco.

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