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Perché le accuse di fascismo alla Meloni potrebbero rivelarsi un boomerang per il Pd

Meloni

L’insistenza con cui vari esponenti del Pd attaccano Giorgia Meloni, attribuendole una contiguità con il fascismo, può rivelarsi dannosa per lo stesso Partito Democratico

L’insistenza con cui vari esponenti del Pd attaccano Giorgia Meloni, attribuendole una contiguità con il fascismo, può avere effetti controproducenti per la stessa sinistra. A parte ogni altra considerazione, non è bello pensare che “gli esami non finiscono mai”. Perché, se fosse così, sarebbero in molti a dover subire la stessa corvée. Non si dimentichi, infatti, che il fascismo, come del resto il comunismo, furono legati ad un particolare momento della vicenda storica. Senza voler necessariamente chiamare in campo Ernst Nolte, non si può dimenticare che in Italia esso fu anche conseguenza del “biennio rosso”. E che in Germania all’origine della nascita del nazismo vi furono i tentativi insurrezionali del movimento spartachista.

Si deve solo aggiungere che il confine nord della stessa Germania era fortemente presidiato dalle truppe bolsceviche. Le quali, fin dal 1922, rispondevano agli ordini di Giuseppe Stalin. Il cui spirito, apparentemente internazionalista, come dimostrerà lo stesso Vladimir Putin, altro non era che una foglia di fico destinato a nascondere il nazionalismo ed il populismo di Santa madre Russia. Pensare quindi ad un possibile ritorno del fascismo, senza contestualizzarlo, è solo boutade propagandista, facile da svelare.

Si potrebbe replicare: ma Fratelli d’Italia, nel proporre il presidenzialismo, ha in mente soprattutto Viktor Orban. Il discusso leader ungherese. Semplice processo alle intenzioni. Il presidenzialismo, come forma di governo, esiste in diversi Paesi: dalla Francia agli Stati Uniti. Perché allora fissarsi su Orban, quando negli annali del Parlamento italiano, a partire dalla bicamerale di D’Alema (relazione di Cesare Salvi sulla forma di governo), per non risalire alla stessa Costituente, quell’ipotesi ebbe comunque diritto di cittadinanza?

Argomenti poco solidi, come si vede. Caratterizzati da una vis polemica che, come si diceva all’inizio, può ritorcersi contro gli ingenui agitatori. Immaginiamo, infatti, se, nonostante gli anatemi, le elezioni confermassero i sondaggi, consegnando a Giorgia Meloni la leadership del centrodestra e quindi del Paese. Per la sinistra non sarebbe solo un brutto colpo, ma una sconfitta clamorosa. Dimostrerebbe, in altre parole, l’esistenza di un Paese maturo che, a differenza di una parte del ceto politico, non ha più bisogno di evocare i fantasmi del passato. Ne deriverebbe non solo una frattura significativa. Ma si avrebbe, finalmente, quella definitiva riconciliazione nazionale che esponenti stessi della sinistra avevano inutilmente tentato di evocare negli anni passati.

Attenti quindi: certe polemiche strumentali possono solo far accelerare, facendo venir meno una di quelle costruzioni retoriche su cui la sinistra ha fondato gran parte della sua identità. Il che, almeno dal nostro punto di vista, non sarebbe necessariamente un danno. Era il 1996, quando Luciano Violante, appena eletto Presidente della Camera, pronunciò il famoso discorso sui ragazzi di Salò, invitando a riflettere sui “vinti di ieri”. Per “cogliere la complessità del nostro Paese” e “costruire la Liberazione come valore per tutti gli Italiani” spingendoli a “battersi per … il futuro” del proprio Paese ad “amarlo”, a ”volerlo più prospero e più sereno”.

Ed ancora più lontana nel tempo (dal 1965) era stata l’opera di Renzo De Felice, sul fascismo ed il mussolinismo. Ben otto tomi di centinaia di pagine, in cui la storia di quel periodo era stata scandagliata senza lasciare alcunché al caso. Luci ed ombre. Gesti di generosità e di viltà. Come tutte le cose di questo mondo. Ne era derivata un’immagine potente di quel periodo, che cozzava contro gli stereotipi della cultura militante. E per questo, sebbene i volumi fossero pubblicati da una casa editrice prestigiosa come Einaudi, furono messi all’indice. E l’autore bollato come “revisionista”.

In precedenza era stato lo stesso Togliatti a definire il fascismo un “regime reazionario di massa”. Quasi a sottolineare quel consenso seppure passivo (ma chi può dirlo?) che lo aveva caratterizzato. E che comunque, rispetto all’Italietta di Depretis, rappresentava una forte modernizzazione (ancora una volta passiva?) del vecchio Stato sabaudo. Che poi il relativo approdo fosse anche la spinta imperialista ci può stare. Salvo non dimenticare che l’imperialismo di allora altro non fu che l’evoluzione storica del sistema capitalistico occidentale.

Quanti errori, quindi. Soprattutto quanti ritardi accumulati. Che non hanno fatto bene all’Italia, esasperando quella anomalia, rappresentata dalla presenza del più forte partito comunista dell’Occidente, che si è protratta ben oltre la caduta del muro di Berlino. Verrebbe quasi voglia di dire che se la vittoria di Giorgia Meloni deve servire per normalizzare la storia nazionale, avvicinando l’Italia agli altri Paesi europei, allora ben venga quella vittoria. Seppure a distanza di anni dall’invocazione di Luciano Violante, sarà l’inizio di una nuova fase. In cui gli italiani, non più prigionieri di politici faziosi, potranno finalmente dividersi, eventualmente, sulle cose da fare, invece che su una storia passata. Che nessuno è in grado di cambiare.

Articolo pubblicato su Start Magazine. 

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