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Quel compleanno in sordina di Biagio de Giovanni

Biagio De Giovanni

Compie 90 anni Biagio de Giovanni, tra i più grandi pensatori del nostro tempo. Ma le istituzioni non sembrano essersene accorte…

Lui, da gran signore qual è, è rimasto in silenzio. È dovuto intervenire il Corriere del Mezzogiorno per ricordare che Biagio de Giovanni domani, martedì 21 dicembre, compirà 90 anni e sottolineare quell’assordante silenzio delle istituzioni, che pure dovrebbero omaggiarlo: “Nessuno in città – evidenzia il Corriere – sembra essersene accorto. Né il Comune rinnovato, né la Regione deluchiana con tutte le sue innumerevoli diramazioni nel mondo della cultura, né le Università dove ha insegnato, nemmeno L’Orientale del quale de Giovanni è stato rettore”.

E dire che di motivi per stringersi a lui, pur con tutte le dovute precauzioni derivanti da un periodo così eccezionale, e festeggiarlo, non mancano. Basta ripercorrere quanto ha fatto in questi 90, operosi, anni: classe 1935, filosofo (autore di numerosi saggi, tra cui Hegel e Spinoza. Dialogo sul Moderno, che per lo storico Aldo Schiavone è “uno dei più grandi libri della filosofia europea degli ultimi decenni”) e politico, si è laureato in Filosofia del diritto presso l’Università “Federico II” di Napoli, ha insegnato nello stesso ateneo e poi presso l’Università di Bari. L’ultima cattedra in Storia delle dottrine politiche all’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, di cui è anche stato rettore. Nel 1989 e nel 1994 è stato eletto al Parlamento europeo prima nelle fila del PCI e poi del PDS. È stato presidente della Commissione per gli affari istituzionali. A voler compiere il delitto di riassumerne la figura e il peso politico in poche righe, si potrebbe dire che Biagio De Giovanni è universalmente considerato tra i principali esponenti dell’area riformista del centrosinistra.

“Mezzo secolo fa, negli anni Settanta, esercitava su di noi ragazzi il fascino intellettuale di un filosofo calato nella lotta politica, militante comunista, esemplare di intellettuale organico nel senso gramsciano del termine”, ricorda Antonio Polito. Che poi aggiunge: “Forniva un contributo di idee autonomo e originale. Mai un esecutore di linee decise dall’alto, ma sempre immerso nella discussione sulla direzione da seguire, sulle svolte da prendere, concentrato a comprendere il presente e i suoi mutamenti per intuire il futuro e le sue conseguenze. Per questo un anticipatore del grande cambiamento avvenuto con la sconfitta finale del comunismo, e poi un precursore di quel destino riformista che i reduci del Pci non seppero invece cogliere con la necessaria prontezza e l’indispensabile coraggio”.

“Di una celebrazione pubblica, fa notare ancora il Corriere del Mezzogiorno, che pure ha sollevato la questione, Biagio de Giovanni avrebbe fatto volentieri a meno, anche se, per l’innata cortesia, probabilmente non avrebbe rifiutato l’invito. Il vero problema è però che a nessuno, nelle stanze del potere, del governo democratico della collettività, sia venuto in mente di ringraziare il professore per quanto di bello e prezioso è stato ed è ancora in grado di regalare. Di cogliere l’occasione, ripetiamo solo simbolica, del suo novantesimo compleanno per indicarlo come esempio per chi è chiamato a ricostruire una società migliore sulle macerie di quella attuale, devastata dalla pandemia non più che dalla sottovalutazione del valore fondante della Cultura”.

Europeista convinto e attento osservatore, Biagio de Giovanni ha recentemente scritto sul Riformista: “Solo l’Europa può trattare con il capitalismo globale e le sue prepotenze. La sinistra, non sorretta da movimenti di classe che non ci sono più, deve rinascere da una volontà seria e operosa di unità politica europea, capace di contribuire a creare, con le necessarie alleanze, la cultura di un riformismo occidentale”.

Questo perché Biagio de Giovanni, a differenza di molti altri pensatori d’area, non ha mai finto di non vedere la grave crisi in cui versa la sinistra: “Lo strano – ha scritto sempre sul Riformista, giornale che lo ha subito avuto tra i suoi collaboratori di maggior prestigio, fin dalla nascita  – è meravigliarsi che ci sia confusione e incertezza a sinistra, quando un mondo intero è finito. I conflitti sociali, di classe o di massa, erano incardinati in una storia che si è conclusa, nelle idee e nella realtà. Il capitalismo era nazionale e produttivo, oggi è globalizzato e largamente finanziario, cambia tutto quando si incrinano i confini degli Stati-nazione e delle loro strutture sociali. È la conclusione storica del compromesso tra democrazia e capitalismo, che c’è stato, se pure attraversato dalle sue vicende alterne. Le parole “classe” e “movimento operaio” non sono sostituite da quella opposizione ambigua tra “ultimi e penultimi”, terminologia oggi assai in voga, in mancanza d’altro, espressione dai confini indecifrabili e dalla rappresentatività vuota di senso, un vero segno dei tempi. Le ineguaglianze restano senza nome. E allora? Di sicuro, la crisi della sinistra è in corso, e non se ne vede l’uscita”.

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