Affluenza in salita al Nord, boom di donne e fuorisede: ecco chi ha votato davvero
Nonostante l’impegno e la mobilitazione, anche questa volta i referendum non superano l’ostacolo del quorum. A votare è stato solo il 30,6% degli aventi diritto, confermando un trend di disaffezione che si ripete. Ma non tutto il Paese si è comportato allo stesso modo: il Centro-Nord ha fatto registrare un’affluenza più alta, con punte del 36%, mentre il Sud è rimasto fermo attorno al 24%. Firenze (46,9%) e Bologna (47,6%) si distinguono come le città più partecipative, confermando la forte presenza di elettorato progressista.
DONNE IN TESTA: IL VOTO CAMBIA VOLTO
Una novità rilevante di questo voto arriva dal fronte del genere: a recarsi alle urne sono state più donne (31,3%) che uomini (29,1%). Un’inversione rispetto alla tradizione elettorale italiana, dove storicamente il genere maschile è sempre stato più presente. Secondo l’analisi di YouTrend, questa dinamica è legata al maggiore coinvolgimento delle donne – soprattutto giovani – nelle tematiche care al fronte progressista, dal lavoro ai diritti civili.
REFERENDUM E GEOGRAFIA SOCIALE
Il sì al quesito sulla cittadinanza ha conquistato le “zone a traffico limitato” delle grandi città: Milano e Torino in testa, dove l’elettorato più istruito e urbanizzato ha fatto sentire la propria voce. Al contrario, i quesiti sul lavoro hanno avuto maggiore risonanza nei quartieri popolari, come San Salvario, Aurora e Mirafiori a Torino. Anche in questo caso, la distribuzione territoriale riflette una geografia del voto che si sovrappone alle divisioni sociali e culturali.
FUORISEDE, POCHI MA SUPER ATTIVI
Double face il voto dei fuorisede. Dei circa 5 milioni, soltanto 67.305 aventi diritto che hanno fatto richiesta di voto in un comune diverso da quello di residenza, che però ha dimostrato un super attivismo: circa il 90% – ricorda sempre Youtrend – ha effettivamente votato. Una percentuale superiore all’80% registrato alle Europee del 2024, che allora però era riservata solo agli studenti. Il dato evidenzia una partecipazione consapevole e motivata, con picchi a Bologna, Padova e Torino.
LE GRANDI CITTA’ TRAINANO L’AFFLUENZA (MA NON BASTA)
Il voto ha coinvolto soprattutto le grandi aree urbane. Nei comuni con più di 100 mila abitanti, l’affluenza ha raggiunto il 35,5%. Città come Torino, Milano, Genova e Roma hanno fatto la differenza. In parallelo, è emersa una correlazione con il livello di istruzione: dove ci sono più laureati (oltre il 20% della popolazione), l’affluenza ha toccato il 36,7%. Nonostante questi numeri, il dato complessivo non è bastato a raggiungere il quorum.
UN’ITALIA SPACCATA: IL SUD RIMANE INDIETRO
Il quadro finale racconta di un’Italia spaccata. Il Sud ha disertato in massa: in Sicilia ha votato appena il 23%, in Sardegna il 27% (trainata però dalle amministrative in alcuni comuni, come Nuoro). Fa eccezione proprio Nuoro, che ha superato il quorum con il 59%, probabilmente per effetto del voto locale e del richiamo della governatrice Todde, originaria della città. Al Nord, la provincia con meno partecipazione è stata Bolzano, ferma al 15,9%.
IL PESO DEL COLORE POLITICO
Un altro elemento chiave riguarda l’identità politica dei territori. Laddove il messaggio referendario ha avuto un chiaro imprinting progressista – come nelle roccaforti del PD e di AVS – l’affluenza ha retto meglio. Al contrario del flop del 2022 sui referendum voluti dal centrodestra (fermi al 20,9%), stavolta il coinvolgimento è stato più alto, anche se insufficiente. Per gli analisti, proprio la forte caratterizzazione politica potrebbe aver contribuito a polarizzare e, in alcuni casi, a disincentivare la partecipazione.
Un voto che, pur fallendo l’obiettivo del quorum, racconta molto della composizione sociale e culturale del Paese, della distanza tra territori e generazioni, e di un’Italia in cui l’astensione rimane un ostacolo duro da superare.