Il commento sui risultati del referendum di Dino Amenduni
È la peggiore sconfitta del centrosinistra (qualsiasi cosa voglia dire a giugno del 2025, io non lo so più e non so nemmeno se esiste) degli ultimi decenni.
Un nodo è “finalmente” arrivato al pettine ed è riassumibile in una frase che ho sentito tantissime volte in questi anni, soprattutto da voci disperate all’interno dei partiti: “qua sono tutti generali e nessuno vuole fare il soldato”.
Qualsiasi ‘ma’ o ‘se’ rispetto a questo punto allontana dalla risoluzione del problema.
Non è un problema (solo) di comunicazione: se l’affluenza fosse arrivata al 45-46% avrebbe avuto senso discuterne. Ma se mancano 20 punti percentuali di affluenza, diventa un po’ un ragionamento ozioso, se non proprio la ricerca di un capro espiatorio.
Non è un problema (solo) dei quesiti referendari. In questi mesi spesso ci siamo dettə (io incluso) che se ci fosse stata l’autonomia differenziata il risultato sarebbe stato diverso. Ora, dati alla mano, non sarei più pronto a ripetere questa frase, sinceramente.
Non basta dire che è andata a votare più gente rispetto a quelli che hanno votato per il centrodestra alle politiche del 2022, perché vuol dire far finta che non ci sia stato il 70% di astensione. Con un’affluenza sopra il 40% questo discorso avrebbe anche avuto un senso. Con un’affluenza più bassa anche rispetto al referendum sulle trivelle di nove anni fa, sinceramente, non regge.
Il nodo che è arrivato al pettine, in forme ancora più drammatiche rispetto a quello che potessi immaginare, è che c’è una marea di persone progressiste a cui viene l’orticaria al solo pensiero di iscriversi a un partito o a un sindacato. Pensano di perdere tempo, che tanto il banco è truccato, che il centro non ascolta la periferia, che in generale non ci si ascolta. Non mi sento di biasimarli.
Non puoi vincere un referendum, e quindi forse nemmeno convocarlo, senza capacità di mobilitazione capillare. E se lo fai, e poi lo perdi in questa misura, fai ancora più terra bruciata attorno, anche per il futuro.
E non ci sarà mai mobilitazione capillare se non c’è produzione collettiva di senso politico. O i corpi intermedi tornano a essere ciò che prevedeva la Costituzione, articolo 49 (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”), o andrà sempre allo stesso modo, anzi, andrà sempre peggio.
A tal proposito: se fai politica soprattutto a livello nazionale, nel paese con la fiducia più bassa in assoluto in Europa nei confronti di partiti e sindacati, e inviti all’astensione, le persone non vanno (giustamente!) a votare.
Questa è una colpa storica, che nasce con Craxi (un abbraccio fortissimo a chi cerca ancora di riabilitarlo) e che in questi anni ha colpito tanto la sinistra quanto la destra, con l’aggravante che la sinistra sostiene che quella italiana è la “Costituzione più bella del mondo”, salvo poi ignorarla in alcuni passaggi, come quello messo in evidenza prima. Chi è progressista, chi si dice antifascista non può MAI invitare l’elettorato a non andare a votare. È un controsenso logico e storico.
In circostanze come queste – e ne ho vissute tante, a livello personale, in particolare in questi cinque anni, mi sono aggrappato a questa frase per sconfiggere lo sconforto: “Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio”.
La frase è di Antonio Gramsci. Tout se tient. Da domani si ricomincia da capo. Con calma.