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Referendum, quante forme esistono e come funziona quello abrogativo

Ecco le tre principali forme di referendum previste dall’ordinamento italiano e cosa prevede per  la consultazione dell’8 e 9 giugno

Per le opposizioni non si sta parlando abbastanza dei referendum previsti l’8 e il 9 giugno. Ma quante tipologie di referendum ci sono ? La Costituzione italiana ne prevede tre principali: abrogativo, confermativo e consultivo. Ciascuno di questi strumenti ha finalità, procedure e effetti giuridici differenti. Il referendum abrogativo è disciplinato dall’articolo 75 della Costituzione e consente ai cittadini di proporre l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge. Il referendum confermativo, invece, riguarda le leggi costituzionali approvate con una maggioranza inferiore ai due terzi in Parlamento. Infine, il referendum consultivo serve a raccogliere l’opinione dei cittadini su questioni di particolare rilevanza politica, ma il suo esito non ha valore vincolante.

REFERENDUM ABROGATIVO: COS’E’ E COME FUNZIONA

Il referendum abrogativo è lo strumento più utilizzato nella storia repubblicana: dal 1946 ad oggi sono stati proposti 67 quesiti di questo tipo. Per poter essere indetto, è necessaria la richiesta di almeno 500 mila elettori oppure di cinque Consigli regionali. Una volta raccolte le firme, la proposta viene sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione, che ne verifica la regolarità, e successivamente alla Corte Costituzionale, che decide sull’ammissibilità costituzionale del quesito.

Non tutte le materie possono essere oggetto di referendum: sono escluse, ad esempio, le leggi tributarie, di bilancio, di amnistia e indulto e quelle di ratifica dei trattati internazionali. Inoltre, non è possibile abrogare norme di rango costituzionale.

I TEMPI E LE FASI DELLA PROCEDURA

La legge 352 del 1970 disciplina le modalità pratiche per l’attivazione del referendum abrogativo. Le richieste devono essere presentate tra il 1° gennaio e il 30 settembre di ogni anno alla Corte di Cassazione, che entro il 31 ottobre valuta la regolarità delle domande. I promotori hanno tempo fino al 20 novembre per sanare eventuali irregolarità, e la Cassazione decide in via definitiva entro il 15 dicembre.

A quel punto, la Corte costituzionale valuta entro il 20 gennaio dell’anno successivo l’ammissibilità dei quesiti. Se approvati, il Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio dei ministri, indice il referendum con un decreto, fissando la data della votazione in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno.

IL QUORUM E GLI EFFETTI DELL’ABROGAZIONE

Perché un referendum abrogativo sia valido, deve essere raggiunto il quorum, ossia deve recarsi alle urne almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto. Inoltre, la proposta di abrogazione deve ottenere la maggioranza dei voti validamente espressi. In caso di esito positivo, il Presidente della Repubblica dichiara con decreto l’abrogazione della legge. Il provvedimento è pubblicato immediatamente in Gazzetta Ufficiale e l’abrogazione entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione. Dal 1974 al 2022, il quorum è stato raggiunto in 39 casi, mentre in 28 consultazioni non è stato superato, rendendo nulle le votazioni.

IL REFERENDUM CONFERMATIVO: QUANDO NON SERVE IL QUORUM

Il referendum confermativo riguarda le leggi di revisione costituzionale e viene indetto quando queste sono approvate in Parlamento con una maggioranza inferiore ai due terzi. Anche in questo caso, possono richiederlo 500.000 elettori, un quinto dei parlamentari o cinque Consigli regionali. A differenza del referendum abrogativo, non è previsto alcun quorum: vince la proposta che ottiene la maggioranza dei voti validi. Tra i casi più noti, la conferma della riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001 e la bocciatura della riforma costituzionale nel 2006.

IL REFERENDUM CONSULTIVO

Infine, il referendum consultivo non ha valore vincolante ma serve a sondare l’opinione dei cittadini su una questione di interesse politico. In Italia è stato indetto una sola volta a livello nazionale, nel 1989, per verificare il sostegno al conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo. Il Sì vinse con l’88,3%. Più frequentemente, questo tipo di consultazione viene utilizzata a livello locale, ad esempio per fusioni tra comuni o questioni territoriali.

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