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Salario minimo, l’invito di Di Maio a Zingaretti per il ddl che preoccupa impresa e sindacati

Contratto Espansione

Il leader 5 Stelle invita il neo segretario Pd a votare insieme il ddl sul salario minimo al vaglio de Senato. I probabili costi e le preoccupazioni di impresa e sindacati

Di Maio “chiama” Zingaretti: il salario minimo come punto di partenza per un nuovo rapporto tra Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico. Ospite della trasmissione televisiva “Agorà” su Raitre, il vicepresidente del Consiglio e ministro del Lavoro lo ha detto chiaramente: “Votiamo insieme il salario minimo orario. Esiste in tutta Europa. Il nostro lo stiamo discutendo con i sindacati. Quando si arriverà a votare in Parlamento, voglio vedere chi sta veramente dalla parte di chi sta in difficoltà, chi non arriva a fine mese e chi fa propaganda”. Poi, un invito ancora più stringente al neo segretario Pd all’interno di un “progetto complessivo” dei Cinquestelle: “Lunedì torna in Senato il reddito di cittadinanza e mi aspetterei un cambio di atteggiamento da parte del Pd di Zingaretti”.

IL DISEGNO DI LEGGE AL SENATO

Il disegno di legge, prima firma Nunzia Catalfo del M5S, per portare la retribuzione oraria minima a 9 euro lordi per tutti i contratti di lavoro subordinato e parasubordinato, è al momento al vaglio della commissione Lavoro di Palazzo Madama. La legge si applicherebbe su tutto il territorio nazionale e a tutte le attività che non sono regolamentate da contratti collettivi nazionali. “Tutti i comparti dove ci sono i contratti collettivi nazionali restano intatti, ci sono i loro minimi salariali” ha specificato Di Maio mentre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è spinto ancora oltre parlando dell’introduzione di un salario minimo europeo: “Il prossimo rinnovo del Parlamento – ha aggiunto – costituisce un’occasione preziosa per avviare una discussione franca e consapevole”.

I COSTI

Secondo l’Istat, audito il 13 marzo scorso in commissione Lavoro, se il ddl diventasse legge l’incremento riguarderebbe il 21% del totale dei lavoratori, esclusi gli apprendisti, e l’incremento medio annuale sarebbe di circa 1.073 euro pro capite. Il che si traduce in un monte salari stimato in circa 3,2 miliardi.
Un po’ diverse le cifre fornite dall’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), sempre in audizione al Senato, secondo cui la platea sarebbe pari al 15% dei lavoratori e il costo finale si aggirerebbe sui 4,1 miliardi. In caso di 9 euro netti, invece, si arriverebbe addirittura a 34,1 miliardi.
L’Ocse ha invece evidenziato come una soluzione del genere porterebbe l’Italia al primo posto per il salario minimo nella classifica dei Paesi aderenti all’organizzazione con sede a Parigi.

COSA SUCCEDE IN EUROPA

Nel Vecchio Continente, secondo i dati di Eurofound, l’agenzia europea per il miglioramento degli standard lavorativi nell’Ue, le retribuzioni minime esistono in 22 Paesi su 28: si passa da importi medi minimi lordi di 286 euro in Bulgaria (1,62 euro l’ora) a 2.071 in Lussemburgo (11,97 euro l’ora). Non le hanno, oltre all’Italia, Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia. Il salario minimo orario garantito è superiore ai 9 euro in 6 dei 22 Paesi: Germania (9,19 euro), Olanda (9,33 euro), Belgio (9,41 euro), Irlanda (9,80 euro), Francia (10,03 euro), Lussemburgo (11,97 euro).

I RISCHI SECONDO SINDACATI E IMPRESE

Come ha spiegato l’Ocse durante l’audizione in Senato, nel nostro Paese attualmente i quasi 900 accordi collettivi settoriali firmati a livello nazionale – di cui i due terzi scaduti – coprono “praticamente tutti i dipendenti del settore privato in Italia con minimi dettagliati”. Rimane fuori dunque una bassa percentuale di lavoratori ma il rischio secondo i sindacati e le imprese è che si verifichi la fuoruscita dai contratti per cui nel ddl occorre fare riferimento ai contratti nazionali per fissare il salario minimo. Al ministero del Lavoro è iniziato due giorni fa il negoziato con le tre sigle dei confederali – già ascoltate in commissione Lavoro al Senato – le quali hanno ribadito la loro contrarietà all’introduzione del salario minimo visto che tra l’80 e il 90% dei lavoratori è coperto dai contratti nazionali che invece andrebbero estesi a tutti in modo da aggiungere per legge altri aspetti come le ferie.

Anche le imprese, con Confindustria in testa, si oppongono al ddl M5S perché temono che venga spiazzata la contrattazione. Inoltre, come ha rilevato in audizione Pierangelo Albini direttore dell’area lavoro di Viale dell’Astronomia, i minimi orari di retribuzione attualmente previsti dai contratti “si aggirano sui 7,5 euro lordi”. Semplicemente, ha avvertito Confapi, “salterebbe il sistema”.

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