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Serve una cura shock: il taglio della pressione fiscale

Trump Social

L’esempio di Trump: ha tagliato le tasse e ha lanciato un mega piano di investimenti pubblici. L’intervento di Daniele Capezzone per Start Magazine

Molti analisti, anche di notoria e meritata autorevolezza, nell’esaminare il succedersi delle formule politiche alternatesi in Italia negli ultimi vent’anni (centrodestra a trazione berlusconiana; centrosinistra prodian-dalemiano; stagioni tecniche; centrosinistra renziano; primo esperimento gialloverde), hanno posto l’accento sulle differenze, sulle contrapposizioni, sulle faglie, sulle “rotture” che ogni diversa maggioranza ha effettivamente prodotto rispetto allo schema politico precedente. E naturalmente ci sono moltissime ragioni che militano a favore di questa chiave di lettura, basata sulle differenze.

Eppure, senza naturalmente pretendere di accomunare o sovrapporre fenomeni diversissimi, si può tentare anche l’operazione inversa: e cioè sottolineare alcuni elementi (ahinoi, non virtuosi) di continuità. Un filo – esile ma tenacissimo – che collega quelle stagioni, che le unisce, anziché contrapporle.

Per una ragione o per l’altra, infatti, tutti quei governi hanno ritenuto che non fosse praticabile una cura choc: un taglio non omeopatico della pressione fiscale (e più o meno correlati interventi su spesa e debito). Tutti hanno ritenuto – ciascuno a proprio modo – che fosse politicamente praticabile solo la gestione dell’esistente, un approccio conservativo, limitandosi a usare anno dopo anno i margini negoziati con Bruxelles, essenzialmente al fine di condurre in porto operazioni elettorali, manovra dopo manovra, di minore o maggiore successo.

Ognuno può dare la propria spiegazione: la durata breve dei governi (che fatalmente scoraggia operazioni di medio respiro, inevitabilmente impopolari all’inizio), la mancanza di profonde convinzioni riformatrici e liberali, l’oggettiva difficoltà di governare in questa fase storica. Tutto vero, per carità.

Ma il risultato è che – non solo oggi! – siamo prigionieri dello “zero virgola”, di una crescita stentata, di una perenne stagnazione. Se gli altri paesi occidentali corrono, noi camminiamo; se gli altri paesi occidentali decelerano, noi rallentiamo ancora di più.

Inutile girarci intorno. Questo stato di cose deriva per un verso da problemi domestici (tasse alte, spesa alta, debito alto), e per altro verso da un apparato di vincoli europei che sembrano concepiti per scoraggiare operazioni forti, per ricondurre la politica economica dei diversi stati membri a un pilota automatico rigidissimo.

E invece più che mai sarebbe necessaria una “cura Trump”. Piaccia o no, il presidente repubblicano, rompendo tutti gli schemi (anche di dottrina economica), ha realizzato un mega intervento per metà liberista (supertaglio di tasse e massiccia deregolamentazione) e per metà keynesiano (superpiano di investimenti), ottenendo risultati spettacolari: crescita alle soglie del 3%, disoccupazione ai minimi da 50 anni (sotto il 4%), con gara tra i diversi settori economici (anche a suon di aumento dei salari) per convincere i lavoratori a farsi assumere.

È bene sapere che quelle politiche trumpiane non sarebbero state autorizzate da Moscovici e Dombrovskis, dagli occhiuti guardiani dei parametri Ue. E già questo dice tutto sulla follia dell’Europa di oggi.

Servirebbe dunque – da tutte le parti: da chi è pro tempore in maggioranza e da chi è pro tempore all’opposizione – un supplemento di coraggio: una disponibilità a riforme coraggiose in casa, e contestualmente a una contestazione (razionale, non urlata, determinatissima) degli attuali parametri europei.

Sta qui il tragico elemento di continuità tra le diverse formule politiche ricordate: tutti hanno rinunciato sia alla prima che alla seconda partita, al di là delle parole, delle dichiarazioni d’intenti, delle cortine fumogene.

E si tratta di un errore anche dal punto di vista dei mercati: i quali sarebbero ben disposti a premiare un governo, di qualunque segno e colore, che avesse serie chance di produrre una crescita robusta, sostenuta e duratura.

Forse, pensando alla prossima manovra d’autunno, è questo il cuore della sfida. Hic Rhodus, hic salta.

Articolo pubblicato su Start Magazine n.2/2019

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