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Tutti i dolori del giovane “vecchio” Di Maio
Il commento di Roberto Penna per Atlantico Quotidiano sui guai del capo del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio dopo il disastro alle europee
Quando un leader politico conduce alla vittoria il proprio partito o schieramento, ben difficilmente viene messo in discussione, quand’anche fosse odiato da molti dei suoi. Se però si verifica il contrario, e i consensi elettorali vengono meno, scattano subito i distinguo delle eventuali minoranze interne. Si tratta di una logica del tutto normale in politica, e a ciò non è sfuggito Luigi Di Maio, capo del Movimento 5 Stelle.
DI MAIO LEADER CONFERMATO VIA ROUSSEAU
La batosta subita dal M5S alle elezioni europee ha spinto alcuni pentastellati, fra i quali Di Battista e Paragone, a richiedere quantomeno una revisione del ruolo di Di Maio. L’avanzata dei ribelli è tuttavia durata pochissimo, perché, prima di ogni altra cosa, i titolari della ditta, Grillo e Casaleggio, hanno immediatamente “blindato” il vicepremier, uccidendo sul nascere qualsiasi illusione di coloro i quali, peraltro già insofferenti da tempo verso il capo politico del Movimento, hanno subito sperato di poter cavalcare la sconfitta elettorale al fine di degradare l’attuale leadership. Dopo il parere quasi risolutivo e vincolante dei big (Beppe Grillo, Casaleggio e gli associati), si è deciso di ricorrere ancora all’ormai nota piattaforma Rousseau, per sondare il popolo grillino sulla permanenza o meno di Luigi Di Maio come capo politico del M5S. Questo strumento digitale torna sempre utile quando si vuole offrire una parvenza di democrazia ed evitare che il verticismo pentastellato appaia troppo sfacciato. Perché solo di parvenza si tratta, visto che sul piano della trasparenza, la piattaforma Rousseau è credibile quanto un aereo sprovvisto di ali. Infatti, manco a farlo apposta, l’80 per cento degli utenti di Rousseau si è espresso a favore della prosecuzione della leadership di Di Maio. Una percentuale da Bulgaria comunista, non c’è che dire! La riconferma di Luigi Di Maio, oltre ai piani alti dell’azienda a 5 Stelle, non è dispiaciuta probabilmente nemmeno a Salvini. Come abbiamo già visto prima delle europee e come continuiamo a vedere tuttora, i problemi non mancano neppure con un M5S a guida Di Maio. Proprio l’attuale capo politico del Movimento, prima del 26 maggio scorso, si è distinto come guastatore della maggioranza di governo, e gli elettori lo hanno punito anche o soprattutto per questo.
COLLEGHI DI GOVERNO E PARTITO IMPEGNATIVI
Nonostante la tranvata elettorale, il presidente della Camera Roberto Fico ritiene opportuno aggiungere nuove polemiche, provocando direttamente Matteo Salvini, e il resto d’Italia, dedicando la Festa della Repubblica a rom e migranti. Per non parlare poi di Elisabetta Trenta, ministro della difesa, che sogna un esercito italiano tutto “peace & love”. Ma se al vertice pentastellato dovesse giungere, per esempio, il Che Guevara de noantri, ovvero Alessandro Di Battista, il Governo Conte avrebbe non i giorni o i mesi, bensì le ore contate. Salvini ha lanciato un allarme proprio in questo senso. Comprendiamo la realpolitik ed anche la difficoltà, abbastanza evidente, del M5S a reperire un leader che sia migliore di Luigi Di Maio, ma colpisce l’ennesimo tradimento dello spirito originario del Movimento. Pur essendo anagraficamente giovane, Di Maio appare già vecchio e bolso come personaggio politico, perché ha fallito alla sua prima ed importante prova, e peggio ancora, non sa più in quale modo possa rilanciare la propria proposta.
SPINTA PROPULSIVA GRILLINA ESAURITA?
La spinta propulsiva sembra essersi esaurita in maniera prematura, eppure egli resiste senza alcun passo indietro, tipo quei vecchi politici, destinatari dei vaffa grillini, i quali non sanno fare altro e non accettano la conclusione della loro personale vicenda politica. Ma il Movimento 5 Stelle non era un gruppo di semplici cittadini, i quali non desideravano nemmeno il titolo di deputato o senatore, proprio per rimarcare la loro diversità rispetto ai politici di professione? Insomma, donne e uomini che vivono la politica come una missione temporanea e non come un lavoro a tempo indeterminato? Anche la politica grillina, per resistere nella giungla del potere, è divenuta politicante.
Articolo pubblicato su Atlanticoquotidiano.it