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Un partito dei cattolici? Ecco cosa pensano Follini, Bianco e Giovagnoli

Nel centenario dell’Appello ai Liberi e Forti di don Sturzo, il mondo cattolico si interroga sul ruolo dei cattolici in politica. L’articolo di Manola Piras

A 60 anni dalla sua scomparsa è una figura che ancora continua a far parlare di sé, don Luigi Sturzo, e forse non è un caso che, nel centenario del suo “Appello ai Liberi e Forti”, il mondo cattolico sia animato da un dibattito sul ruolo dei cattolici stessi in politica. Nei giorni scorsi dalle colonne del Corriere della Sera ne ha accennato Ernesto Galli Della Loggia e ieri è intervenuto, sullo stesso giornale, Angelo Panebianco secondo il quale occorre porre l’accento – per chiunque voglia avere élite politiche – su una reimpostazione in chiave meritocratica del nostro sistema educativo. Una condicio sine qua non che formi “una massa critica di ‘pubblico attento'” di cui classi politiche migliori siano nient’altro che un “sottoprodotto”.

MARCO FOLLINI: IL MONDO CATTOLICO SARÀ PROTAGONISTA POLITICO MA ORA È TEMPO DI SEMINA

Concorda con il politologo bolognese Marco Follini, ex vicepresidente del Consiglio ed esponente di spicco dell’Udc, che però scommette sul “futuro protagonismo politico del mondo cattolico”. Attenzione, però: “Un partito si può fare ma non bisogna improvvisare. Oggi è tempo di una semina a tutto campo, a livello culturale e sociale, in un certo senso di una semina pre-politica da cui possono nascere una classe dirigente e una forza organizzata” spiega Follini a Policy Maker. “Noi quest’anno celebriamo don Sturzo – aggiunge -: ricordiamo che ci ha messo quasi tre lustri dal primo gesto di candidarsi a pro-sindaco del suo paese, Caltagirone, alla fondazione del Partito Popolare nel 1919”.

Follini intravede poi un’urgenza che accomuna tutte le classi politiche del Paese: “Il loro problema fondamentale al momento è che sono spente, mute, vittime dell’ignoranza e del culto dell’ignoranza che viene fatto”. Ecco dunque che è giusto “ripartire dalla reimpostazione del sistema educativo” ma senza escludere che i cattolici possano dire la loro con forza nel panorama politico italiano. L’ex consigliere d’amministrazione della Rai insiste però sulla necessità di tempi lunghi: “Non è possibile risolvere in breve un problema che risale a un quarto di secolo fa, quando furono ammainate le bandiere della Dc. Si tratta di un lavoro di lunga lena e aggiramento, che parta dalle idee e dalle persone. Quando nacque il Partito popolare e poi la Dc – ricorda Follini – non fu una scelta della Chiesa ma del laicato cattolico. Bisogna conservare questo percorso così da far nascere poi una forma di collaborazione più larga”.

GERARDO BIANCO: RIPROPORRE PENSIERO E POLITICA ISPIRATI DAI CATTOLICI PER L’UNITA’ DEL PAESE

È d’accordo sull’attuale assenza di cultura in Italia Gerardo Bianco, democristiano di lungo corso. “Oggi c’è un vuoto pauroso determinato dalla perdita della cultura e inoltre manca una componente essenziale della cultura politica italiana, quella cattolica, in un contesto in cui la dottrina sociale della Chiesa è completamente trascurata” racconta a Policy Maker. Per Bianco oggi “non esistono culture politiche ma una quotidianità che affronta i problemi senza una formazione adeguata, con un capovolgimento dei metodi e con criteri pericolosi”. L’87enne, deputato in ben nove legislature, trova “eccellente” il fondo di Galli Della Loggia mentre rimprovera a Panebianco di sottovalutare che “in un sistema proporzionale un partito che ha il 7-8 per cento dei voti può avere un ruolo rilevante”. In tale contesto un partito dei cattolici può dire la sua certamente anche perché, sostiene Bianco, “credo che l’unità del Paese si possa trovare solo con la riproposizione di un pensiero e di una politica ispirati dai cattolici. Serve una forza cattolica impegnata che non guardi a destra e che abbia come modello l’Ulivo” conclude.

AGOSTINO GIOVAGNOLI: IL PROBLEMA È DEI PARTITI IN GENERALE, LORO FINE È VUOTO CRUCIALE PER LA DEMOCRAZIA

Più tranchant lo storico Agostino Giovagnoli secondo cui “il problema più che del partito dei cattolici è dei partiti in generale. La fine dei partiti politici – spiega a Policy Maker – ha lasciato un vuoto cruciale per la democrazia perché non c’è un’articolazione in senso pluralista“. Si tratta di una “questione da affrontare. Di sicuro Panebianco non risolve il problema”. Al politologo Giovagnoli non risparmia critiche: “La verità è che il pensiero liberale portato avanti da Panebianco e da altri – in prima fila nei decenni passati – ha distrutto i partiti e ora servirebbe un po’ di autocritica come presupposto per andare avanti. Si tratta di un pensiero che ha forzato in senso neoliberale l’orientamento della società e il populismo è figlio di questo liberalismo che a sua volta nasce dall’economia”.

Oggi, prosegue lo storico, “non ci sono i presupposti per la formazione di partiti politici. C’è molta confusione perché per anni sono state fatte affermazioni sbagliate e ora bisogna rimettere in discussione luoghi comuni come quello che la democrazia rappresentativa è vecchia, superata, sbagliata e che i problemi del mondo sono indipendenti dalla nostra realtà. In tal senso è utile riaprire il discorso sull’Europa, uno dei pochi strumenti che abbiamo per contrastare i poteri forti sovranazionali. Essere politicamente provinciali – sottolinea – è un’arma di distrazione di massa”. Per quanto riguarda il ruolo dei cattolici, Giovagnoli non ha dubbi: “Il mondo cattolico è già protagonista dell’attuale stagione, ad esempio con le prese di posizione dei vescovi sugli immigrati, sulla solidarietà. In sostanza, è una delle poche voci che si levano dalla società civile“.

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