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Università come incubatrice dell’innovazione pura. La ricetta del rettore dell’Ateneo di Padova

Università

L’intervento di Rosario Rizzuto, rettore dell’Università di Padova, per Start Magazine

Un Paese che non crede nella ricerca mette a repentaglio il proprio futuro. Ne è ormai consapevole non solo la comunità accademica, ma l’intera società, ed in particolare le imprese che affrontano una competizione internazionale sempre più forte ed i giovani che vorrebbero costruire in Italia il loro progetto professionale e di vita.

Partiamo dai numeri. Secondo la relazione al Governo e Parlamento su ricerca e innovazione, redatta nel 2018 dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, il nostro Paese spende solo l’1,3% del proprio Pil in sviluppo e ricerca, ben lontano dall’obiettivo – posto dall’Unione Europea – del 3% da raggiungere entro il 2020. Siamo al dodicesimo posto fra le ventotto nazioni dell’Unione Europea, distanti dagli altri grandi paesi, quali Francia e Germania. Ancor più preoccupante è l’andamento nel tempo delle politiche di finanziamento.

Un recente studio dell’Osservatorio dei Finanziamenti Pubblici dell’EUA (Associazione delle Università Europee) ha mostrato come nelle politiche di finanziamento pubblico delle Università nell’ultimo decennio si riconoscono distintamente tre andamenti temporali: un aumento continuo, in Germania, Francia, e nella maggior parte dei paesi nordici, un andamento in recupero, ossia un incremento marcato negli ultimi anni per recuperare il calo avvenuto negli anni successivi alla crisi economica del 2008, in Portogallo, Irlanda ed in numerosi paesi dell’Est Europa, e un declino continuo, in Italia, Grecia, Spagna (che tuttavia mostra un recupero nell’ultimo biennio) e pochi altri paesi.

I diversi andamenti temporali delle politiche di investimento hanno quindi aperto un divario significativo tra i diversi paesi (cfr. il +40% della Germania con il -20% dell’Italia), riducendo la capacità degli Atenei pubblici italiani di competere con le istituzioni di ricerca e alta formazione degli altri paesi.

Posta la necessità di un aumento significativo del finanziamento del sistema della ricerca pubblica, deve essere definita una strategia chiara di sviluppo e obiettivi prioritari da perseguire.

FAVORIRE QUALITÀ DELLA RICERCA

Il primo è sicuramente quello di favorire qualità ed ampiezza della ricerca. L’introduzione di quote premiali di finanziamento associate ad un monitoraggio continuo e capillare dell’attività di ricerca hanno sicuramente avuto un effetto positivo sulla qualità della produzione scientifica complessiva degli Atenei, anche se occorre riflettere su come stimolare e non penalizzare ricerche difficili e ambiziose, che possono richiedere tempo e portare a risultati di grande importanza in orizzonti temporali più lunghi.

Sull’ampiezza della ricerca, l’Università deve essere sempre più per il Paese la fucina dell’innovazione pura, con la ricerca ad ampio spettro («curiosity driven») rivolta allo sviluppo di nuove conoscenze, spesso teoriche, in tutti gli ambiti del sapere. Ma non si pensi che non abbia ricadute applicative, anzi, è da questa ricerca che nascono le grandi rivoluzioni tecnologiche: senza meccanica quantistica non ci sarebbero computer e telefoni cellulari, senza i principi teorici della relatività generale i localizzatori GPS sbaglierebbero di centinaia di chilometri, senza un enzima di un batterio dei soffioni boraciferi non si potrebbe amplificare il DNA da poche molecole nei laboratori diagnostici e di ricerca. Occorre quindi ampliare il finanziamento della ricerca di base, anche con strumenti nuovi che in tutti i campi del sapere stimolino, valutino e finanzino idee progettuali brillanti ed innovative.

INTERCONNESSIONE TRA UNIVERSITÀ, ISTITUZIONI E IMPRESE

Il secondo obiettivo strategico è portare, nel tempo più rapido e con la massima efficacia, le conoscenze acquisite e le tecnologie sviluppate al servizio della crescita economica e sociale del Paese. Per questo è necessario che Università, istituzioni e imprese siano sempre più strettamente interconnesse nello sviluppare i percorsi di trasferimento della conoscenza. Sempre più numerosi, diversi ed efficaci sono gli esempi di questa interazione (citando solo alcuni casi in cui è direttamente coinvolta l’Università di Padova, ricordo i Competence Center del piano Industria 4.0, le Reti Innovative costituite dalla Regione Veneto con migliaia di imprese associate ai quattro atenei regionali, il sostegno dell’Università al piano di recupero del disastro ambientale «Vaia»). I tempi appaiono maturi perché la «terza missione» delle Università diventi l’ossatura di un piano interministeriale che su temi strategici (economia circolare, sostenibilità ambientale, salute del terzo millennio, giustizia sociale) stimoli e valorizzi l’impegno diretto degli Atenei stessi, dando concretezza al concetto di “impatto” sulla società come missione fondamentale del sistema universitario.

CRESCITA DEL CAPITALE UMANO

Il terzo cardine di una politica efficace di sviluppo della ricerca scientifica in Italia, deve essere la crescita del capitale umano, recuperando un decennio in cui il calo complessivo del finanziamento è stato accompagnato da misure (come le restrizioni al turn-over del personale e il blocco delle progressioni salariali), che hanno inciso direttamente sul personale docente, tecnico ed amministrativo delle Università.

 

Estratto di un articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista cartacea Start Magazine, per informazioni e abbonamenti: info@startmag.it

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