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Zecche rosse e camicie nere, la politica è tutta qua?

Non si fermano le polemiche per gli scontri al corteo di Bologna con il vicepremier Matteo Salvini che chiede lo stop ai centri sociali abusivi mentre il sindaco di Bologna Matteo Lepore accusa : “Il governo ha mandato le camicie nere”.  Così le lancette della storia tornano agli anni Settanta e qualcuno ricorda al leader della Lega che lui nasce al Leoncavallo.

A meno di una settimana dalle elezioni regionali in Emilia Romagna, è scontro totale tra Bologna e Roma. Tra sinistra e destra. Tra rossi e neri. E i quotidiani sottolineano questa frattura che fa ripiombare, per via del linguaggio usato, la politica in un clima da anni Settanta. “Accuse incrociate sui cortei” titola in prima il Corriere della Sera, “Caso Bologna, duro scontro governo-Pd” sintetizza il Resto del Carlino mentre Libero patteggia con Matteo Salvini e spara: “Il Pd alleva zecche rosse”.

DOPO GLI SCONTRI DI BOLOGNA E’ CAOS TRA DESTRA E SINISTRA

Riuscire a capire cosa è successo non è semplice. E i quotidiani provano a ricostruire i fatti. In pratica la contrapposizione tra manifestanti antifascisti e corteo dei Patrioti neofascisti ha provocato sabato 13 feriti tra collettivi e polizia. La destra che oggi sarà al gran completo a Bologna con Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani, per spingere la candidata in Regione Elena Ugolini, si è infiammata. Matteo Salvini ha postato un video in cui chiede di “chiudere i centri sociali, covo di criminali” o meglio di “zecche rosse” e il sindaco Matteo Lepore ha risposto  accusando il governo di aver “mandato 300 camicie nere in città. A pensare male si fa peccato — ha detto — ma è mancato il rispetto per Bologna”.

ZECCHE ROSSE, MA SALVINI “NASCE” AL LEONCAVALLO

Insomma è come se la politica fosse salita sulla macchina del tempo e portato indietro le lancette agli anni Settanta. Lo scrive molto bene su Repubblica Filippo Ceccarelli che parla dello “spettro del comunismo agitato per propaganda in un rituale novecentesco”. “Se il linguaggio è lo specchio dell’anima – annota il giornalista – ecco che la memoria, la coscienza e la coerenza del vicepremier Salvini sono materia dinanzi a cui ogni possibile giudizio si deve arrestare rimanendo impigliato tra sghignazzi e sconforto, stupore e indifferenza”. Ricorda Ceccarelli che Salvini “che ieri ha commentato i fatti di Bologna chiamando in causa «zecche rosse, comunisti e criminali dei centri sociali» si vantò di essere pervenuto alla Lega dal Leoncavallo, portava l’orecchino in segno di rivolta e alle elezioni farlocche inventate da Bossi nell’autunno 1997 si presentò con la lista dei Comunisti padani, che nel simbolo recava una falce e martello rossi in campo bianco — e venne anche eletto al Parlamento, pure fasullo, di Chignolo Po”.

SIAMO ALLA PARODIA DEGLI ANNI SETTANTA

Insomma per Ceccarelli “il sospetto è che la notte della democrazia e il deserto di ideali e progetti abbiano tolto di bocca alla politica le parole della novità, della fantasia, della vita reale. Fascismo e comunismo, dunque, come pigro automatismo, balbettio obsoleto, l’usato erroneamente sicuro e in realtà pericoloso. Fascismo e comunismo in mancanza di meglio”. Ed è poi quello che riporta nella sua analisi su la Stampa, Flavia Perina già direttrice del Secolo d’Italia: “La sceneggiata muscolare messa in campo dagli opposti movimentismi a Bologna, a una settimana dal voto, è una parodia di guerra civile dalla quale gli adulti dovrebbero prendere le distanze in blocco, usando appunto il linguaggio degli adulti e non le parole-feticcio di stagioni lontane, riabilitate come sistemi sbrigativi per segnalare una posizione di principio”.

E FINO A DOMENICA LO SCONTRO SARA’ ANCORA ALTO

In tutto questo scende in campo anche Ignazio La Russa, presidente del Senato, seconda carica dello Stato che in un’intervista al Corriere della Sera dice: “La sinistra deve recidere il cordone ombelicale con certe compagnie. Nessuno di noi si offre di andare in piazza con gli estremisti”. Le polemiche sono destinate a non finire, quindi. Almeno fino a domenica quando si voterà e forse si potrà guardare avanti. Ci prova Carlo Calenda, leader di Azione, a lanciare un appello a Giorgia Meloni ed Elly Schlein, perché “normalizzino i rapporti tra maggioranza e minoranza”. E all’opposizione, “perché la smetta di discutere di formule politiche di cui non frega niente a nessuno”. Ma c’è da scommetterci che cadrà nel vuoto, la politica oggi è ancora divisa tra zecche e camicie nere, purtroppo.

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