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Perché Giorgetti, Mazzotta e Perrotta sorridono, un po’ meno i cittadini

Il probabile trasloco di Biagio Mazzotta dalla Ragioneria generale dello Stato lascia tutti contenti, dal ministro Giorgetti e dalla premier Meloni fino alla fedelissima Daria Perrotta 

“Modalità e tempistiche a dir poco bizzarre” (Il Fatto quotidiano), “opacità dubbi e inferenze che rendono necessaria trasparenza anche in sede parlamentare” (Milano Finanza): questi alcuni dei commenti che si leggono sui giornali in merito alla sostituzione (o trasferimento o promozione, dipende dai punti di vista) del Ragioniere generale Biagio Mazzotta.

La sintesi è presto detta. Da questa vicenda tutti i diretti interessati rimarranno contenti: Mazzotta – come scrive il Foglio – si dimette dalla Ragioneria in cambio della presidenza di Fincantieri, Giorgetti mette al suo posto Daria Perrotta, sua capo ufficio legislativo al Mef, e la commissione di inchiesta sul Superbonus finisce a tarallucci e vino.

A livello di immagine, però, gli stessi escono alquanto malconci.

IL FATTO QUOTIDIANO: MAZZOTTA NON FA UNA BELLA FIGURA MERCANTEGGIANDO COSI’ L’USCITA DAL TESORO

“Mazzotta – scrive Marco Palombi sul Fatto quotidiano – è da un po’ nel mirino della destra di governo, che l’ha eletto capro espiatorio unico dell’esplosione dei costi del Superbonus. Avendolo riconfermato, però, Giorgetti non sapeva come costringerlo ad andarsene: nei mesi gli sono stati offerti posti in società pubbliche d’ogni genere, ora il Ragioniere ha accettato quello di presidente di Fincantieri, vacante dopo il suicidio del generale Claudio Graziano, il cui iter di assegnazione dovrebbe partire nel cda di martedì. Bello stipendio, non c’è che dire, mezzo milione l’anno, ma scadenza all’approvazione del prossimo bilancio (aprile-maggio 2025), salvo proroghe”.

Mazzotta, di sicuro, “non fa una bella figura nel mercanteggiare così l’uscita dal Tesoro: un funzionario di prima fascia di 62 anni può, se ritiene di doverlo fare, dimettersi senza aver nulla in cambio; cibo in tavola, una pizza ogni tanto e qualche weekend fuori non gli mancherebbero in ogni caso”.

Luciano Capone sul Foglio ricostruisce poi il conflitto andato avanti per mesi con “da un lato il governo intenzionato a dare un segnale all’ufficio che è stato responsabile dello sfascio del bilancio; dall’altro il “guardiano dei conti” che lottava strenuamente per preservare l’indipendenza della Rgs dall’occupazione meloniana. La maggioranza minacciava una commissione d’inchiesta, il Ragioniere faceva sapere attraverso la stampa di avere un “dossier” sulle responsabilità di tutti i governi che si sono succeduti. Parevano i giusti presupposti, in una democrazia funzionante, per arrivare a un chiarimento pubblico sulle responsabilità e sugli errori sul disastro epocale dei bonus edilizi. Invece, erano solo le pistole messe sul tavolo prima di avviare la trattativa.

IL FOGLIO: “CI GUADAGNANO TUTTI I CONTRAENTI, TRANNE I CITTADINI”

Il governo aveva proposto a Mazzotta di assumere la presidenza delle Ferrovie, “che gli avrebbe garantito – scrive Capone – uno stipendio (238 mila euro annui) più alto di quello da Ragioniere (187 mila), ma non abbastanza per fagli rinunciare alla difesa dell’istituzione. Palazzo Chigi si è guardato attorno, cercando qualche alternativa, ma non c’erano caselle disponibili. A sbloccare la situazione, evidentemente, è stata la tragica morte del generale Claudio Graziano, che ha lasciato libera la poltrona di presidente di Fincantieri: 500 mila euro di stipendio (400 mila fisso e 100 mia variabile). L’incarico giusto per fare un passo indietro e consentire l’avvicendamento.

Accordo fatto: Giorgetti mette alla Rgs una persona a lui vicina come Perrotta; Mazzotta prende un incarico con uno stipendio quasi triplicato; il Parlamento non fa nessuna indagine sulla voragine fiscale, figurarsi l’opposizione che il Superbonus se l’è inventato; il “dossier” del Ragioniere sui governi resta nel cassetto. Ci guadagnano tutti i contraenti, tranne i cittadini che hanno diritto alla trasparenza e le istituzioni che perdono un altro pezzo di credibilità. D’ora in poi gli italiani guarderanno al Ragioniere dello stato sempre come al “guardiano dei conti”, ma non quelli pubblici: i suoi”, conclude Capone.

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