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Migranti, cosa dice la sentenza della Corte di Giustizia Ue sui Paesi sicuri

Ecco la pronuncia del 4 ottobre sui migranti della Corte europea richiamata dal Tribunale di Roma e dalla giudice Silvia Albano

Mentre infiamma sempre di più lo scontro tra governo e toghe dopo la sentenza del Tribunale di Roma sul non trattenimento dei migranti in Albania, con le parole del ministro Nordio (“Sentenza abnorme”) e la richiesta di dimissioni del Guardasigilli da parte delle opposizioni, e mentre sono rientranti nel frattempo in Italia i 12 migranti al centro della contesa politico-giudiziaria, l’Esecutivo guidato da Giorgia Meloni lavora a un decreto legge da varare lunedì in Cdm per risolvere il caso.

Il nodo principale, richiamato dalla pronuncia del Tribunale di Roma, sottoscritta dalla giudice Silvia Albano (presa di mira dagli attacchi della maggioranza di centrodestra), è la sentenza del 4 ottobre 2024 della Corte di Giustizia europea.

COSA HA STABILITO LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA

E’ bene quindi capire meglio il caso trattato da questa sentenza. In sintesi, la Grande sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C‑406/22 è intervenuta su richiesta di un tribunale della Repubblica Ceca, dove un cittadino moldavo (identificato come CV) aveva presentato domanda di protezione. La richiesta era stata rifiutata e ne era nato un ricorso; la Corte regionale di Brno ha sottoposto allora alla Corte Ue diverse questioni “concernenti l’interpretazione della direttiva recante le procedure comuni sulla materia”.

Ebbene. La Corte del Lussemburgo ha stabilito alcuni principi. Intanto il diritto dell’Unione non consente attualmente agli Stati membri di designare come Paese sicuro “solo una parte del territorio del Paese terzo interessato”. Nella fattispecie, le autorità ceche avevano ritenuto la Moldavia “sicura” ad eccezione della Transnistria. “I criteri che consentono di designare un Paese terzo come di origine sicura devono, infatti, essere rispettati in tutto il suo territorio”, recita la sentenza.

COSA PREVEDE LA LEGGE ITALIANA SUI ‘PAESI SICURI’

Per quanto riguarda la legge italiana, come rileva il sito ‘Questione giustizia’ essa “rinvia a un decreto interministeriale per la designazione dei paesi di origine sicuri, il quale a sua volta fa riferimento alle schede trasmesse dal Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale relative a ogni paese contenuto nell’elenco. Dall’esame delle schede si evince che per moltissimi paesi (tutti quelli di provenienza dei principali flussi migratori, soprattutto sulla rotta del mediterraneo) la designazione del paese come sicuro viene fatta con esclusione di determinate categorie di persone e/o parti di territorio”.

I PASSAGGI DELLA SENTENZA DEL 4 OTTOBRE E I RICHIAMI AGLI ARTICOLI

Alla luce di queste premesse, riportiamo i passaggi più significativi della sentenza del 4 ottobre, dai quali possono emergere i richiami della pronuncia del Tribunale di Roma.

In particolare la Corte ha affermato: «la designazione di un paese come paese di origine sicuro dipende, come ricordato al punto 52 della presente sentenza, dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione quale definita all’articolo 9 della direttiva2011/95, tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno». (punto 68), «Le condizioni stabilite in tale allegato devono essere rispettate in tutto il territorio del paese terzo interessato affinché quest’ultimo sia designato come paese di origine sicuro» (punto 69).

Inoltre: «interpretare l’articolo 37 della direttiva 2013/32 nel senso che esso consente ai paesi terzi di essere designati come paesi di origine sicuri, ad eccezione di talune parti del loro territorio, avrebbe l’effetto di estendere l’ambito di applicazione di tale particolare regime di esame. Poiché una siffatta interpretazione non trova alcun sostegno nel tenore letterale di tale articolo 37 o, più in generale, in tale direttiva, il riconoscimento di una siffatta facoltà violerebbe l’interpretazione restrittiva cui devono essere subordinate le disposizioni derogatorie (v., in tal senso, sentenze del 5 marzo 2015, Commissione/Lussemburgo, C-502/13, EU:C:2015:143, punto 61, e dell’8 febbraio 2024, Bundesrepublik Deutschland (Ricevibilità di un ricorso reiterato), C-216/22, EU:C:2024:122, punto 35 e giurisprudenza ivi citata)» (punto 71).

I RIFERIMENTI ALLE ‘PARTI DI TERRITORIO’ E ALLE ‘CATEGORIE DI PERSONE’

La Corte ha poi rilevato – sottolinea il portale online ‘Questione giustizia’ che la precedente direttiva consentiva l’esclusione di parti di territorio (e di categorie di persone n.d.r.), ma tale possibilità è stata abrogata dalla direttiva attualmente in vigore e l’espressa intenzione di abrogare tale possibilità è confermata dalla spiegazione dettagliata di tale proposta elaborata dalla Commissione e fornita al Consiglio dell’Unione Europea (punto 76).

Sulla questione relativa alla possibilità di designare un paese sicuro con esclusione di parti di territorio ecco infine la risposta della Corte: «L’Articolo 37 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che: essa osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione, enunciate nell’allegato I di tale direttiva».

E’ chiaro che gli stessi principi – conclude il portale ‘Questione giustizia’ –  valgono a maggior ragione per la possibilità di designare un paese sicuro con esclusione di categorie di persone che sarebbero comunque a rischio persecuzioni o trattamenti inumani e degradanti, laddove in particolare si afferma al punto 68 che «la designazione di un paese come paese di origine sicuro dipende, … , dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione quale definita all’articolo 9 della direttiva2011/95, tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti», e si chiarisce che tali possibilità di esclusione (per parti di territorio o categorie di persone) previste dal vecchio testo della direttiva sono state abrogate dal nuovo testo della direttiva procedure per cui non è ammissibile una lettura dell’art 37 della direttiva che riproponga le norme abrogate, mentre le eccezioni alla procedura ordinaria devono essere interpretata restrittivamente (punto 71).

Leggi anche: Chi è Silvia Albano, la giudice della sentenza sui migranti in Albania

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