I dazi di Trump mandano in fumo svariate miliardi di dollari sui mercati. La Premier Meloni chiede di mantenere la calma, il mercato americano vale “solo” il 10% dell’export italiano
Il primo giorno della nuova era dei dazi di Donald Trump ha regalato un bagno di sangue alle borse europee ed americane.
Un conto salato da 2 mila miliardi di dollari per Wall Street (nonostante i tentativi di Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca di rassicurare i mercati) e da 422 miliardi di euro per quelle europee, maglia nera a Piazza Affari che chiude in pesante calo, con il Ftse Mib giù del 3,59% (Parigi -3,31%, Francoforte -2,93%, Amsterdam -2,67% e Londra -1,59%. Madrid -1,08% e Zurigo -2,34%). Per il Wto i dazi statunitensi potrebbero causare una contrazione dei volumi degli scambi di merci globali dell’1% nel 2025.
DAZI: UNA MATASSA DA SBROGLIARE
Questa la matassa che gli esecutivi europei sono chiamati a sbrogliare cercando la strada capace di causare meno danni, scegliendo tra quella della ritorsione e l’imposizione di contro – dazi e quella della trattativa. Nel primo caso l’esito più nefasto sarebbe l’innesco di un’escalation che lascerebbe sul campo miliardi e posti di lavoro, nel secondo caso lo scenario peggiore sarebbe quello di non riuscire a convincere il presidente Trump a sedersi al tavolo negoziale.
IL FALLIMENTO DELLA STRATEGIA EUROPEA
L’Ue, da quanto era trapelato inizialmente, avrebbe voluto seguire il percorso negoziale mettendo sul piatto della bilancia un incremento degli acquisti di gas, petrolio e Gnl per portare in equilibrio il deficit commerciale Usa, secondo quanto richiesto esplicitamente da Donald Trump. Questa era stata la strada (di successo) seguita da Jean-Claude Juncker, ma stavolta non è stato un cammino percorribile. Del resto, i dazi che l’Europa applica agli “si aggirano tra l’1 e il 2%”, spiega a Rainews Fabrizio Pagani, partner della società di investment banking e consulenza strategica Vitale ed ex Capo Segreteria MEF.
DAZI, LA POSIZIONE DIALOGANTE DEL GOVERNO MELONI
I dazi statunitensi si sono abbattuti anche sul nostro paese. Forte delle sue buone relazioni personali con il presidente Trump, la premier Giorgia Meloni (che forse sperava in un trattamento di favore) sembra voler adottare una strategia dialogante, pur considerando l’imposizione di tariffe una scelta non lungimirante. “L’introduzione da parte degli USA di dazi verso l’Unione Europea è una misura che considero sbagliata e che non conviene a nessuna delle parti – si legge in una nota di Palazzo Chigi -. Faremo tutto quello che possiamo per lavorare a un accordo con gli Stati Uniti, con l’obiettivo di scongiurare una guerra commerciale che inevitabilmente indebolirebbe l’Occidente a favore di altri attori globali. In ogni caso, come sempre, agiremo nell’interesse dell’Italia e della sua economia, anche confrontandoci con gli altri partner europei”.
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Ma niente panico perché “il mercato americano vale il 10%” dell’export italiano”, dice la premier al Tg1. “Bisogna aprire una discussione franca, nel merito, con gli americani con l’obiettivo di rimuoverli, non di moltiplicarli”, spiega la Premier. Ma prima di tutto, quello che l’Ue deve fare, secondo Meloni, è “rimuovere i dazi che si è autoimposta”, con gli effetti del Green Deal sull’automotive, burocrazia che “soffoca” e un Patto di stabilità da “rivedere”.
MELONI CHIAMA UN VERTICE A PALAZZO CHIGI SUI DAZI
Nel pomeriggio di ieri a Palazzo Chigi si è riunito un vertice tra la Premier e i titolari dei ministeri più interessati dai dazi: i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani (in collegamento da Bruxelles), il ministro degli Affari Ue Tommaso Foti, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. Dialogo è il termine usato anche dal ministro Tajani per raccontare il suo incontro con il Commercio Maros Sefcovic. “Abbiamo concordato sulla necessità di mantenere nella sfida sui dazi la schiena dritta e di seguire un approccio basato sul dialogo”, ha scritto in un post su X.
A #Bruxelles ho incontrato il Commissario 🇪🇺 per il Commercio @MarosSefcovic. Abbiamo concordato sulla necessità di mantenere nella sfida sui dazi la schiena dritta e di seguire un approccio basato sul dialogo. Al Commissario ho consegnato il Piano d’Azione per l’export italiano… pic.twitter.com/Y7RNSJ8Ozu
— Antonio Tajani (@Antonio_Tajani) April 3, 2025
Il Governo incontrerà le categorie produttive alla luce di “uno studio sull’impatto reale” dei dazi “settore per settore”, e anche in base alle loro stime si cercheranno “le soluzioni migliori”, ha spiegato la Premier.
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MERCOSUR: IL GOVERNO MELONI CERCA DI UN DIFFICILE PUNTO DI EQUILIBRO SUI DAZI
Il vicepremier ha consegnato al Commissario il “Piano d’Azione per l’export italiano” al fine di rafforzare la presenza delle imprese italiane “in tutti i mercati in crescita” e gli “interessi delle aziende italiane in tutto il mondo”. Tra i più importanti accordi a cui accenna il vicepremier c’è il Mercosur un accordo di libero scambio con Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay che prevede di reciprocamente i dazi del 90%. Il trattato è stato concordato lo scorso dicembre da Von der Leyen a Montevideo, ma affinché entri in vigore è necessaria l’approvazione del Consiglio europeo. E qui che arrivano i tentennamenti proprio del nostro Governo chiamato a trovare un punto di equilibrio tra i settori che potrebbero avvantaggiarsene (automotive, farmaceutica, tecnologia) e quelli che si dicono contrari, come le associazioni di agricoltori.
I “CONSIGLI” DELL’AMBASCIATORE USA A ROMA TILMAN FERTITTA
Intanto qualche “consiglio” per trovare una via d’uscita di dazi per il nostro paese arriva da Tilman Fertitta, l’uomo scelto da Trump come prossimo ambasciatore Usa a Roma. Nel corso della sua audizione in Commissione per gli Affari esteri del Senato americano ha parlato si quello che gli Usa si aspettano dal nostro paese. Prima di tutto “da una prospettiva energetica, vorremmo davvero che l’Italia stringesse più accordi con le aziende americane e riducesse l’acquisto di energia dalla Libia e da altri Paesi”. Dopo la deflagrazione del conflitto tra Russia e Ucraina, l’Italia ha rivisto la strategia di approvvigionamento energetico e oggi il 36,1% delle nostre importazioni arriva dal nord Africa. In secondo luogo, Fertitta ha discusso di spese per la difesa sottolineando come l’1,6% speso dal nostro paese non sia “assolutamente sufficiente” e dovrebbe arrivare al 2%. Infine, l’ultima considerazione riguarda l’assottigliamento della presenza cinese in Italia dovuta, anche, alla decisione della premier di sfilata dalla Nuova Via della Seta.