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Bistoncini

5 anni di attività legislativa: tra decreti, odg e monocameralismo, ecco chi comanda davvero. Il report Bistoncini

Il report di Bistoncini Partners “L’evoluzione del rapporto Governo/Parlamento” analizza l’attività legislativa durante i governi Conte II, Draghi e Meloni.

Un Parlamento più vitale, ma ancora ai margini dell’attività legislativa. È questa la fotografia che emerge dall’ultima analisi condotta da Insight Lab, il centro studi di Bistoncini Partners, che ha passato al setaccio l’attività legislativa dei governi Conte II, Draghi e Meloni. E il verdetto è netto: il baricentro resta a Palazzo Chigi. Con qualche segnale, però, di risveglio dalle aule parlamentari.

7 LEGGI SU 10 VENGONO DAL GOVERNO

Secondo il report di Bistoncini, su 10 leggi approvate, 7 portano la firma del Governo. Un dato stabile che conferma una tendenza consolidata: la macchina legislativa italiana funziona a trazione governativa. Ma attenzione: il Parlamento rialza la testa. Se durante il Governo Conte II l’iniziativa parlamentare incideva appena per il 10,7% (complice anche l’emergenza Covid), con Draghi si è saliti al 25%. E sotto il Governo Meloni si tocca quota 30,8%. Un raddoppio rispetto al periodo precedente.

Peccato che, come sottolinea il rapporto, i testi proposti dai parlamentari abbiano spesso “valenza settoriale”: si va dalla tutela della Laguna di Orbetello ai servizi consolari. Nulla che scuota gli equilibri nazionali.

MENO DECRETI OMNIBUS, MA PERMANE LA PRESSIONE SULLE CAMERE

I famigerati “decreti minotauro” – mostri giuridici eterogenei e ingestibili – sono in ritirata. Il Governo Meloni ha risposto all’appello del Quirinale, che aveva suonato l’allarme dopo l’ennesimo decreto omnibus. Il risultato? Meno accorpamenti, ma più decreti autonomi, ognuno con il proprio iter di conversione. Il paradosso è servito: la pressione sulle Camere non cala, e il tempo per discutere i disegni di legge “ordinari” resta risicato.

MONOCAMERALISMO DI FATTO

Il Parlamento è sempre più un binario unico. Solo il 6,7% delle leggi viene modificato in seconda lettura durante il Governo Meloni. Era il 5,8% con Draghi. In pratica, Camera o Senato approvano, l’altro ratifica senza fiatare. Dietro questa scelta, spiegano i tecnici, ci sarebbe una logica di efficienza più che una spinta autoritaria: meno rimpalli, meno caos, meno ritardi. Ma anche meno dibattito e confronto politico.

BOOM DI ODG, MA IL GOVERNO LIMITA LA NUOVA ARMA PARLAMENTARE

Il report di Bistoncini parla chiaro: le interrogazioni scritte perdono appeal. A imporsi è l’ordine del giorno, strumento dal potere giuridico limitato ma con una forza simbolica e mediatica sempre più dirompente. Anche perché l’intervento in Aula spesso finisce sui social, diventando volano di visibilità per i parlamentari.

Il sorpasso è netto: nel conteggio pro capite, gli odg superano le interrogazioni. Ma il vero problema è un altro: solo il 28% degli ordini del giorno presentati dalle opposizioni viene accolto. Nella scorsa legislatura si superava il 60%. Un crollo che racconta un Parlamento più rigido, polarizzato, dove la maggioranza chiude ogni spiraglio al confronto.

LEGGE DI BILANCIO: IL TERRENO DELLO SCONTRO

La manovra finanziaria resta l’unico campo dove il Parlamento riesce davvero a lasciare un segno. La Legge di Bilancio 2025, la prima pienamente “politica” dell’era Meloni, ha visto crescere il numero di emendamenti per parlamentare, così come i commi finali. Ma non illudiamoci: ogni modifica passa dal filtro stretto del Governo e dei relatori. E anche qui il monocameralismo si fa sentire. La Camera ha lavorato sul testo per quasi due mesi. Al Senato è rimasto solo il compito di dire sì.

NIENTE CAMBI DI CASACCA, MAGGIORANZA COESA

Se c’è un aspetto in cui la XIX legislatura fa davvero scuola è la stabilità politica. Finora non si sono registrati cambi di gruppo significativi. Un’anomalia, se si guarda al passato recente, dove ogni crisi di Governo era accompagnata da transumanze parlamentari.

Merito – o colpa, a seconda dei punti di vista – di una maggioranza coesa, blindata dal risultato delle urne e da una guida politica salda. Un’armonia che rafforza l’esecutivo, ma che potrebbe irrigidire ulteriormente gli spazi di dialogo.

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