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Dall’Oman alla Turchia: chi sono i mediatori nella guerra tra Iran e Israele

La guerra tra Iran e Israele è anche una partita regionale che riconosce il ruolo delle medie potenze di Arabia Saudita, Oman, Qatar e, soprattutto, Turchia 

I desiderata della diplomazia italiana non sono bastati per frenare l’escalation tra Iran e Israele. Anzi la temperatura sembra essersi alzata nelle ultime ore con l’ingresso. “Non ci arrenderemo mai e se gli Usa ci attaccano subiranno danni irreparabili”, ha avvertito l’ayatollah Ali Khamenei, suprema guida spirituale iraniana in un intervento alla tv di Stato. Donald Trump sta, come al solito, conducendo una trattativa in cui fa la voce grossa e ha rinnovato l’ultimatum a Teheran a una “resa senza condizioni”. La minaccia in caso di tentennamenti è un coinvolgimento diretto nel conflitto al fianco dello Stato ebraico.

IRAN LASCIA LA PORTA APERTA AL DIALOGO

Quella iraniana è una partita complessa che coinvolge anche altri attori regionali e che ha offerto a presidente russo Vladimir Putin l’occasione di proporsi come “mediatore” e provare a riaccreditarsi, senza successo, nei riguardi della comunità internazionale occidentale. “Anche di fronte all’aggressione più oltraggiosa contro il nostro popolo, l’Iran si è finora vendicato solo contro il regime israeliano e non contro coloro che lo aiutano e lo sostengono – ha scritto il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi in un lungo post su X -. A differenza del regime israeliano illegittimo, genocida e occupante, noi rimaniamo impegnati nella diplomazia”. Un messaggio che significa che Teheran sta cercando interlocutori per far cessare gli attacchi israeliani (e scongiurare l’intervento statunitense).

GLI STATI DEL GOLFO COME MEDIATORI NEL CONFLITTO TRA IRAN E ISRAELE

Stando a quanto riportato da numerose testate internazionali come Reuters, The Arab Weekly e il  Wall Street Journal, l’Iran avrebbe richiesto l’intervento dei paesi del Golfo per fare pressione sugli USA e dissuaderli dal supportare gli sforzi militari israeliani. Alle potenze regionali Arabia Saudita, Qatar e Oman, paese che ha ospitato quattro di cinque round negoziali in merito al nucleare di Teheran, è stato chiesto di lavorare per il raggiungimento di un cessate il fuoco. Gli Stati del Golfo, infatti, hanno paura che il conflitto si estenda ai loro territori o intacchi i loro interessi economici, per questo hanno messo a disposizione le loro cancellerie.

LA CONTROPARTITA DELL’IRAN: FERMARE L’ARRICCHIMENTO DELL’URANIO PER UN ANNO E TORNARE AL TAVOLO DELLE TRATTATIVE

L’Iran, in cambio, si impegna a riprendere le trattative sul nucleare, a fermare per almeno un anno l’arricchimento dell’uranio, ad aprire le porte dei suoi laboratori agli ispettori dell’Aiea e ad accettare un consorzio internazionale nella gestione del programma nucleare. La condizione posta dall’Iran è solo una: che gli Usa non entrino in guerra al fianco di Israele. “Basta una telefonata da Washington per mettere la museruola a Netanyahu”, ha detto il capo della diplomazia iraniana Abbas Araghchi.

ERDOGAN IL FACILITATORE NELLA GUERRA TRA IRAN E ISRAELE

La Turchia è uno degli attori internazionali che sta giocando meglio la sua partita in questo confuso e violento scacchiere geopolitico. Il presidente Recep Erdoğan, dopo essersi ritagliato un ruolo nella partita del Mar Nero e nella guerra in corso tra Ucraina e Russia, si è proposto come “facilitatore” nella crisi tra Iran e Israele. La Turchia sta costruendo e sostenendo il suo ruolo di potenza regionale, punto di riferimento per le interlocuzioni con l’occidente e ponte nei confronti dei paesi del Medioriente. Erdogan ha ricordato al presidente iraniano Masoud Pezeshkian che la priorità deve essere “la stabilità regionale” e che Teheran deve “tornare al tavolo delle trattative”. Su questo l’Iran si era già espresso favorevolmente a una condizione: che gli Usa non entrino nel conflitto.

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