Dalle promesse globali alle crisi sistemiche, fari accesi sul presente e sul futuro dell’Organizzazione mondiale del commercio
Quando nel 1995 nacque l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), il clima geopolitico globale era radicalmente diverso. L’ottimismo post-Guerra Fredda e la fiducia nella globalizzazione spingevano verso un sistema commerciale fondato su regole comuni, stabilità e cooperazione. A quasi trent’anni di distanza, però, quell’entusiasmo sembra essersi esaurito: con 166 Paesi membri, 23 osservatori e quasi il 98% del commercio mondiale sotto la sua giurisdizione, il Wto appare oggi un’istituzione sotto assedio, stretta tra il ritorno dei protezionismi, le tensioni geopolitiche e i cambiamenti tecnologici ed energetici.
COSA FA IL WTO: REGOLE, NEGOZIATI E DISPUTE
Con sede a Ginevra, al Centro William Rappard, il Wto ha un mandato ambizioso: negoziare accordi commerciali, risolvere controversie tra Stati membri e monitorare il rispetto delle regole comuni. Tra i temi trattati figurano le pratiche di dumping, gli aiuti di Stato, la proprietà intellettuale, l’accesso ai mercati, la trasparenza normativa e gli standard sanitari. Il suo meccanismo di risoluzione delle controversie – con una Corte d’appello composta da 7 giudici – è stato a lungo considerato il “cuore giuridico” del sistema multilaterale. Ma è proprio questo meccanismo a essere oggi paralizzato, dopo che gli Stati Uniti sotto la presidenza di Donald Trump ne hanno bloccato le nomine.
TRUMP, PECHINO E LE SFIDE
La crescente ostilità degli Stati Uniti verso l’istituzione è uno dei fattori principali della sua crisi. Donald Trump ha più volte definito il Wto “obsoleto”, accusandolo di essere troppo permissivo con la Cina e di ostacolare gli interessi economici americani. Già durante il suo primo mandato, il tycoon ha bloccato la nomina dei giudici della Corte d’appello, impedendo di fatto il funzionamento del sistema di arbitrato. Nel frattempo, le dispute si sono moltiplicate: dallo scontro tra Usa e Ue su Airbus e Boeing, chiuso solo nel 2021, ai conflitti legati alla pandemia, con India e Sudafrica che chiedevano lo stop ai brevetti sui vaccini, fino alle nuove tensioni sulla transizione green.
LA GUERRA DEI DAZI
Il tema dei dazi è tornato prepotentemente al centro del confronto tra Stati Uniti ed Europa. Nei giorni scorsi, l’amministrazione americana ha trasmesso a Bruxelles un testo preliminare che prevede dazi del 10% sui prodotti europei, mentre l’UE partirebbe da una base zero. La data cruciale è il 9 luglio, quando scadrà la sospensione delle tariffe punitive al 50% volute da Trump. Se non si raggiungerà un’intesa, il rischio di una nuova guerra commerciale sarà concreto. Intanto, a Bruxelles si lavora su possibili contromisure, dalle tariffe all’uso dello “Strumento anti-coercizione”. Ma si valuta anche un rilancio strategico sul piano multilaterale.
VERSO UN WTO 2.0?
La presidente della Commissione europea von der Leyen ha aperto un tavolo sulla riforma dell’organizzazione, ipotizzando un Wto 2.0 che riparta dalla cooperazione commerciale con il blocco del Cptpp, il Partenariato Transpacifico che riunisce 12 Paesi tra cui Giappone, Canada, Australia, Messico e Regno Unito. Un’alleanza che esclude sia gli Stati Uniti sia la Cina, e che potrebbe rappresentare una nuova architettura per il commercio globale basata su standard condivisi e più stringenti. L’obiettivo non è sostituire il Wto ma rafforzarlo dall’esterno, creando una rete di accordi paralleli in grado di contrastare derive protezionistiche.
La direttrice generale del Wto, l’economista nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala (nella foto) – prima donna e prima africana a guidare l’organizzazione – ha ricordato a Davos che “il commercio viene spesso usato come capro espiatorio per problemi interni”. Dietro i disavanzi commerciali, ha spiegato, ci sono spesso squilibri macroeconomici, inflazione e bassa competitività che i governi non riescono a correggere. La strada da percorrere sembra segnata, con l’inevitabile evoluzione del commercio globale e con esso anche del Wto.