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A Gaza l’acqua è diventata un miraggio

L’appello delle Ong a Israele per riaprire i corridoi che permettono l’approvvigionamento di acqua e viveri per la popolazione di Gaza 

Da Save the Children a Médecins Sans Frontières, da Amnesty International, ad Action Aid a Oxfam International, sono più 109 le Ong che hanno chiesto a Israele di interrompere l’assedio sulla Striscia di Gaza.

FAME E SETE USATE COME ARMI DI GUERRA

La preoccupazione delle Ong riguarda la dilagante malnutrizione segnalata dall’Unrwa che sta raggiungendo livelli preoccupanti, colpendo soprattutto i bambini. “Le autorità israeliane stanno facendo morire di fame i civili a Gaza. Tra loro ci sono un milione di bambini”, ha denunciato su X dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, che chiede al Governo israeliano di togliere l’assedio e lasciar transitare cibo e medicine.

IL PREZZO DELL’ACQUA A GAZA CRESCE DEL 400%

A rendere ancora più difficile l’accesso all’acqua potabile è anche l’impennata dei costi che, secondo quanto comunicato dalla Ong Action Aid, è arrivata a crescere del 400% rispetto ai livelli pre-guerra, oggi costa fino a 38 dollari per mille litri di acqua pulita. “L’esercito israeliano continua a colpire gli impianti idrici e le infrastrutture chiave sono state danneggiate o completamente distrutte – scrive la Ong -. La carenza di acqua sta avendo conseguenze disumane per le persone, con molte famiglie che cercano di attingere dai pozzi agricoli non sicuri o dalle acque sotterranee contaminate.  Le famiglie, soprattutto i bambini, sono anche costrette a camminare per due o tre chilometri sotto temperature che vanno dai 32 ai 38 gradi. Raccogliere l’acqua per le loro famiglie è ora la responsabilità di molti bambini a Gaza”.

IL BUCO NELL’ACQUA DEGLI ACCORDI DI OSLO 

In questi giorni le condizioni per la popolazione della Striscia di Gaza sono particolarmente critiche. Tuttavia, anche la quotidianità non è semplice. Israele e la Palestina condividono fonti idriche, in particolare la falda acquifera montana, gestita da Israele attraverso Mekorot, la compagnia nazionale israeliana. Gli Accordi di Oslo I e II avrebbero dovuto definire un quadro regolatorio che consentisse ai due popoli di trovare i necessari approvvigionamenti a prezzi equi. Non è stato così. “Nel 1995, come parte degli Accordi di Oslo, l’OLP firmò un Accordo Provvisorio con Israele. L’Allegato III, Articolo 40 di quell’Accordo, affrontava le questioni idriche, assegnando risorse idriche per un periodo di cinque anni, al termine del quale la questione idrica doveva essere risolta nell’ambito di un accordo tra le due parti sullo status permanente – ha detto a Start Magazine l’Ambasciatrice della Palestina in Italia, Abeer Odeh -. Da quel momento, i palestinesi non hanno potuto accedere alle quantità di acqua concordate, a causa delle restrizioni israeliane imposte dal Comitato Congiunto per l’Acqua e dall’Amministrazione Civile Israeliana. Queste restrizioni impediscono ai palestinesi di scavare nuovi pozzi nelle falde acquifere settentrionali, occidentali e orientali, e li costringono ad acquistare acqua aggiuntiva dalla compagnia idrica israeliana Mekorot, nella quantità e ai prezzi dettati esclusivamente dalla parte israeliana.”

DOPO IL 9 OTTOBRE A GAZA INTROVABILE ACQUA PULITA 

Dopo il 9 ottobre 2023 l’accesso all’acqua nella Striscia di Gaza è notevolmente peggiorato. “La situazione è diventata disperata a causa della grave diminuzione di acqua pulita, la cui disponibilità, in alcune aree, è scesa a soli 5 litri al giorno per persona – ha spiegato l’ambasciatrice Abeer Odeh -. Questo forte calo è attribuibile alla chiusura delle risorse idriche da parte di Israele, alle interruzioni dell’elettricità che hanno bloccato il funzionamento degli impianti idrici – tra cui i tre impianti di desalinizzazione e i pozzi d’acqua – e ai danni ingenti alle infrastrutture idriche, come pozzi, condotte e impianti di trattamento. Le continue incursioni militari israeliane e la deliberata distruzione delle infrastrutture limitano ulteriormente la possibilità di rifornirsi d’acqua. Ci sono anche significative restrizioni agli sforzi di costruzione e riparazione, aggravate dalla demolizione di infrastrutture precedentemente riparate. Se tutto questo non bastasse, le attuali attività dei coloni, tra cui il controllo delle risorse e dei pozzi che servono le comunità palestinesi, peggiorano sensibilmente la crisi idrica.

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