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Marcello Cattani

Cosa pensa il numero uno di Farmindustria dei dazi Usa

Secondo Marcello Cattani, intervistato da la Repubblica, per rispondere ai dazi sul comparto farmaceutico serve una strategia europea sul biotech: “Ciò che spinge le aziende verso gli Stati Uniti in realtà sono il mercato, la certezza delle regole e la competitività. I dazi sono un acceleratore”

Dall’insediamento di Donald Trump e con la minaccia continua di dazi mirati sul comparto farmaceutico, i grandi gruppi hanno dato un’imponente accelerata agli investimenti negli Usa: attualmente si parla di un tesoro di circa 316 miliardi di dollari rilocato dai colossi del settore sul suolo americano, da Novartis ad Astrazeneca, da Sanofi a Roche fino all’asiatica Takeda.

Per il momento, dunque, la strategia del tycoon pagando. La posizione ufficiale dei grandi gruppi, rilanciata oggi in un’intervista rilasciata a la Repubblica da Marcello Cattani, presidente di Farmindustria e ad di Sanofi Italia, riconduce il massiccio spostamento dell’industria verso gli Usa a ragioni di mercato e competitività, grazie a una strategia di attrazione che non trova un corrispettivo, ad esempio, in Europa. “I dazi – dice Cattani – sono solo un acceleratore”.

L’EUROPA RISCHIA DI PERDERE UN PILASTRO INDUSTRIALE

Sul fronte europeo, il rischio è quello di indebolire uno dei pilastri industriali del Vecchio continente, tra le primissime voci che costituiscono il surplus commerciale europeo. A confronto, settori come l’automotive godono di maggiore attenzione: “L’auto vive una situazione difficile, ma bisogna anche capire che il mondo è cambiato. Certi prodotti stanno diventando delle “commodity”, si producono in tutto il mondo, non così farmaci e vaccini. Libertà e sicurezza passano da lì, il Covid ce lo ha mostrato” avverte Cattani.

MANCA UNA STRATEGIA UE SUL BIOTECH

Il monito all’Europa è chiaro: “La mia critica non è al negoziato, penso che Sefcovic stia facendo un buon lavoro, quanto all’assenza di una strategia per rilanciare competitività e ricerca in mezzo a una guerra globale per il primato nel biotech”.

IL NODO SU RICERCA, PREZZI E BUROCRAZIA

Da mesi infatti i principali player del comparto avvertono sulla necessità di difendere la sovranità sanitaria dell’Ue, alla stregua di quanto si sta facendo sulla difesa, lamentando lo scarso investimento su ricerca e sviluppo, il controllo sui prezzi, che non vengono pareggiati a quelli del mercato americano, oltre all’annosa questione delle complicanze burocratiche. “La farmaceutica deve essere la priorità numero uno dell’Europa in questo negoziato, per il suo valore strategico, di competitività e di innovazione”.

I DAZI DANNEGGIANO GLI USA PIÙ DELL’EUROPA

Per Cattani, le misure penalizzerebbero innanzitutto i cittadini americani, con il rischio di creare “carenze e di alzare i costi assicurativi”. Inoltre, la forte integrazione della filiera tra Europa e Stati Uniti renderebbe i dazi “soprattutto un favore alla Cina, che sta recuperando velocissima”.

GLI INVESTIMENTI NON DIPENDONO SOLO DAI DAZI

Nonostante alcuni gruppi – tra cui Sanofi – abbiano annunciato investimenti miliardari in nuovi stabilimenti Usa, l’apertura di un sito produttivo è un processo lungo che richiede “5-6 anni” e dipende più dal mercato e dalla certezza delle regole che non dalle tariffe doganali. I dazi, dunque, non sarebbero, la vera causa dello spostamento di investimenti.

L’IMPATTO PER L’ITALIA: 2,5 MILIARDI DI TASSE IN PIÙ

Quanto all’Italia, una tariffa di compromesso, con un’aliquota al 15% «per noi italiani si tradurrebbe in 2-2,5 miliardi di tasse extra, che pagherebbero soprattutto i consumatori Usa, ma destabilizzerebbe comunque la filiera». In attesa dell’esito delle trattative, Cattani preferisce non sbilanciarsi sul livello massimo accettabile delle tariffe: “Sarà un negoziato duro fino all’ultimo secondo e ho fiducia che alla fine prevalga il buon senso. Anche nell’interesse degli americani: per molti farmaci sono dipendenti dalla produzione europea”.

 

 

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