Meloni punta a cambiare la legge elettorale, ma il nodo sui collegi uninominali rischia di far scivolare la maggioranza nel momento della verità.
Sulla legge elettorale il punto di convergenza del centrodestra è l’addio al Rosatellum: ritorno al proporzionale, ma non puro, con una soglia di premialità, tra il 40% e il 42%.
Quello di spaccatura, l’abolizione dei collegi uninominali. Che pure furono decisivi per la vittoria alle politiche del 2022: alla Camera il centrodestra ne conquistò 121 su 147, al Senato 56 su 63, garantendosi la maggioranza schiacciante in Parlamento, nonostante il sostanziale pareggio a livello complessivo col centrosinistra.
Un doppio paradosso: oggi il Partito Democratico sarebbe favorevole a questa riforma, mentre a opporsi è la Lega. Problema non da poco per il centrodestra, tanto più che il voto in Parlamento sulla legge elettorale potrebbe tenersi a scrutinio segreto, col rischio di far saltare la coalizione nel momento cruciale.
IL TEMPO STRINGE?
In teoria la legislatura scadrebbe a ottobre 2027. Ma da tempo circolano voci insistenti sulle intenzioni di Giorgia Meloni di anticipare il voto alla primavera del 2026, facendo slittare la riforma sul premierato al dopo elezioni, sempre che l’esito del voto s’accordi ai suoi auspici.
E se la legge elettorale è meglio cambiarla nell’ultimo anno di legislatura per evitare problemi in corso, allora il tempo stringe. Non a caso, il confronto sulla legge elettorale è al centro dei confronti politici prima della pausa estiva, anche se rimane sotto traccia: l’obiettivo sarebbe quello di incardinare la discussione in autunno.
PERCHÈ MELONI VUOLE CAMBIARE LA LEGGE ELETTORALE
Ma perché Giorgia Meloni è così interessata a cambiare le regole del gioco, dopo il sensazionale risultato del 2022? Lo scenario, di certo, è profondamente cambiato. La debacle ha costretto la sinistra a trovare una nuova configurazione: malgrado le divisioni, di mostri tripartiti – con il Pd unito ai soli Avs e Più Europa e separato sia dal M5S che dal Terzo Polo – non se ne dovrebbero vedere più.
Come sottolineava qualche settimana fa su Il Foglio Claudio Cerasa, “il centrodestra crede nella possibilità di un campo largo più di quanto forse non creda il centrosinistra”. Timori, però, non del tutto immotivati, dal momento che un fronte unito delle opposizioni potrebbe prendersi una rivincita a partire dal Sud con un ribaltone proprio sui collegi uninominali.
A SINISTRA SI CERCA UNITÀ
Per il momento a sinistra vige la linea della “testarda unitarietà” che prova a far coesistere, con tutte le difficoltà del caso, le diverse anime del campo largo. E i movimenti dell’area riformista, con gli appelli alla “tenda” comune e i malumori per l’indirizzo troppo radicale della segreteria, segnalano istanze destinate a fermentare. Tanto più che il prossimo Parlamento esprimerà il Presidente della Repubblica.
Nel centrodestra intanto si discute sulla forma che dovrà avere la proposta di legge. I lavori sono coordinati da Giovanni Donzelli per FdI. Al tavolo ci sono Alessandro Battilocchio per Forza Italia, Andrea Paganella per la Lega e Pino Bicchielli per Noi Moderati.
LA MACCHINA DELLA RIFORMA
La maggioranza è relativamente d’accordo sul premio di maggioranza da assegnare a chi vince per assicurare la governabilità: una base, peraltro, su cui edificare la futura legge sul premierato. E una trappola per il centrosinistra: per raggiungere tale soglia, le coalizioni sarebbero costrette a indicare un candidato premier. E se ciò a destra non costituisce affatto un problema poiché la leadership di Meloni sembra indiscutibile, altrettanto non si può dire del centrosinistra, all’interno del quale sono ben note le ambizioni di Giuseppe Conte ma anche le lotte intestine al Pd.
Le soglie di sbarramento e l’entità del premio di maggioranza, dunque, non dovrebbero essere un problema, più difficile sarà trovare una quadra sulle tempistiche della riforma. Ma la vera frattura tra Meloni e Salvini potrebbe consumarsi sui collegi uninominali, che con l’attuale legge assegnano il 37% degli eletti.
LE FRIZIONI TRA MELONI E SALVINI
Dal punto di vista di Fratelli d’Italia, significano un lavoro sfiancante di mediazione con gli alleati per spartirsi la distribuzione dei candidati. E nell’eventualità di un centrosinistra unito, un rischio che la premier vuole evitare a tutti i costi.
Il Carroccio invece ha l’esigenza di blindare il peso delle proprie roccaforti al Nord. A fronte di un consenso che negli ultimi anni è drasticamente calato, il segretario Salvini ha mantenuto la leadership del partito e il potere contrattuale nella maggioranza proprio grazie alle vittorie nei collegi uninominali, ma oggi inizia a sentire il fiato sul collo della base del partito, che non gli perdonerebbe un passo falso.
IL CONTO ALLA ROVESCIA È INIZIATO
Gli sherpa sono al lavoro per trovare una sintesi, ma la sensazione è che la legge elettorale sarà il vero campo di battaglia dei prossimi mesi. Il centrodestra, pur avendo vinto con le regole attuali, si ritrova diviso su come ricalibrarle per il futuro, mentre a sinistra si cerca una difficile sintesi in vista di una possibile ricomposizione. La corsa per riscrivere le regole del gioco è ormai avviata, ma il tempo stringe e le crepe nella maggioranza rischiano di allargarsi proprio nel momento più delicato. Se davvero si voterà nella primavera del 2026, il conto alla rovescia è già cominciato.