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Paese sicuro

Cos’è un “Paese sicuro” per la Corte di Giustizia dell’UE

Cos’è un “Paese sicuro”? Su questa definizione si giocava la partita a scacchi giuridica tra governo e giudici italiani sulla legittimità dei trasferimenti dei migranti nei Cpr albanesi. A fare chiarezza è ora una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

Difficilmente sarà questo il capitolo finale dello scontro intorno ai Cpr albanesi tra il governo e la magistratura. Cionostante oggi la Cgue ha chiarito uno dei punti più importanti, ossia la definizione di “Paese sicuro” e le garanzie dal punto di vista giuridico che da essa dipendono.

LA SENTENZA SU RICHIESTA DEL TRIBUNALE DI ROMA

La richiesta del Tribunale di Roma era stata avanzata in merito al fermo e al trasferimento dei migranti soccorsi in mare e provenienti da Egitto e Bangladesh, inseriti dal governo nella lista di Paesi ritenuti sicuri.

Pertanto le autorità avevano rigettato la domanda di protezione internazionale e disposto la procedura accelerata in applicazione del protocollo Italia-Albania.

A seguito del ricorso, il tribunale ordinario di Roma s’era rivolto alla Cgue per un chiarimento sul perimetro giuridico, ma anche di senso, della questione, segnalando l’assenza di fonti poste a fondamento della decisione del governo italiano di ritenere tali Paesi sicuri.

COS’È UN “PAESE SICURO”?

Secondo la Corte, uno Stato membro può effettivamente dichiarare “sicuro” un paese terzo tramite un atto legislativo.

Ciò per deve avvenire sulla base di un controllo controllo giurisdizionale effettivo, fondato sui criteri sostanziali previsti dalla normativa europea e solo se le fonti informative utilizzate siano accessibili sia al richiedente sia al giudice nazionale.

L’OBBLIGO DI GARANZIE GIURISDIZIONALI

In assenza di tali garanzie, la presunzione di sicurezza non può giustificare il rigetto in via accelerata delle domande d’asilo dei migranti.

Secondo la Corte, dunque, un Paese è “sicuro” solo se, senza eccezioni ingiustificate, offre protezione a tutta la propria popolazione.

Tale designazione deve poter essere ridiscussa davanti a un giudice nazionale, che può esaminare la correttezza delle fonti e l’adeguatezza dei criteri adottati. Inoltre, ogni persona respinta in base a una procedura frontiera accelerata ha diritto a un riesame effettivo, con accesso alle informazioni su cui si è basata la scala di sicurezza.

LE CONSEGUENZE PER I CPR ALBANESI

L’esito della causa toglie fondamento al piano italiano di utilizzare i Centri di permanenza in Albania per accelerare i rimpatri da “Paesi sicuri” quali Egitto e Bangladesh. Gli hotspot di Schengjin e Gjader, destinati a frontiera esterna per migranti salvati in mare, non potranno dunque ospitare detenuti in attesa di respingimento senza un controllo giudiziario preventivo sulla designazione di sicurezza. I tribunali italiani, legittimati dalla sentenza, potranno continuare ad annullare i provvedimenti di trattenimento ritenuti carenti di garanzie.

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