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Precari CNR

Decreto Università: i numeri (che non tornano) del CNR

Dal decreto Università 160 milioni per il potenziamento degli enti MUR, ma c’è chi contesta le cifre presenti nelle misure ministeriali. Sono i Precari uniti del CNR, associazione di ricercatori del più importante centro di ricerca del nostro paese

Il decreto Università approvato in via definitiva dalla Camera ha riacceso il dibattito sul futuro della ricerca pubblica in Italia. Da un lato, il Governo sottolinea lo stanziamento di 160 milioni di euro per il triennio 2025–2027 come prima misura strutturale per il potenziamento degli enti vigilati dal MUR; dall’altro, forze di opposizione, sindacati e associazioni di ricercatori denunciano un bluff contabile, sottolineando che le risorse non sono né sufficienti né destinate alle stabilizzazioni del personale precario. Il precariato è un problema strutturale del settore della ricerca in Italia.

Il Consiglio Nazionale delle Ricerche, il principale ente di ricerca italiano, con i suoi 8.000 dipendenti a tempo indeterminato e circa 4.000 precari è diventato simbolo della condizione dei ricercatori in Italia. Mentre la legge introduce nuove forme contrattuali e prevede misure specifiche per il Sud, restano aperti molti nodi irrisolti: l’impegno per le stabilizzazioni, la gestione delle procedure burocratiche e l’effettiva riforma del “preruolo”.

I NUMERI DEL PRECARIATO

Come evidenziato da Start Magazine, la ricostruzione del numero totale di dipendenti e assegnisti del CNR è faccenda complicata: “Repubblica parla di 108 istituti allocati in tutta Italia, 8.600 dipendenti e un bilancio annuo prossimo al miliardo di euro, il manifesto di 88 istituti di ricerca e in cui lavorano dodicimila tra ricercatori, tecnici, amministrativi e assegnisti, poi sempre Repubblica ci dice che ha 5mila ricercatori e 1,7 miliardi di budget all’anno”.

Il CNR è il centro di ricerca più grande in Italia, è suddiviso in 7 dipartimenti a cui afferiscono 88 diversi istituti. “Il numero di dipendenti a tempo indeterminato attualmente al CNR è di 8.000. A questi si aggiungono circa 4.000 precari – sostengono i ricercatori Daniele Cecchetti, un PhD in scienze e tecnologie chimiche, e Andrea Mattera, PhD in neuroscienze, rappresentanti di Precari Uniti del CNR  -. È importante sottolineare come il CNR presenti una percentuale di personale precario pari a circa il 30% della forza lavoro complessiva, un dato nettamente superiore rispetto alla media del pubblico impiego italiano, che si attesta attorno al 15%. Il fondo ordinario degli enti di ricerca (FOE) è di circa 1 miliardo e mezzo, di cui quasi 800 mila sono destinati al CNR. Circa il 90 % di questi fondi vengono utilizzati per pagare gli stipendi dei dipendenti, mentre la ricerca si fa con i fondi competitivi vinti dai ricercatori. Sebbene queste cifre possano apparire rilevanti, va evidenziato come la ricerca italiana sia strutturalmente sottofinanziata rispetto ad altri Paesi europei. Ad esempio, l’analogo francese del CNR, ovvero il CNRS, ha oltre 30000 dipendenti e il Max Planck tedesco ne ha quasi 25000. In media in Europa si investe il 2,2% del PIL in ricerca, ma in Italia la spesa è solo dell’1,3%”.

I DUBBI DEI PRECARI DEL CNR SULLE RISORSE STANZIATE

Il governo ha annunciato uno stanziamento di 160 milioni di euro per il triennio 2025-2027 destinato al potenziamento degli enti di ricerca e, di conseguenza, alla stabilizzazione dei precari del CNR. A questo scopo, sul fronte delle risorse, il ministero parla di 9 milioni nel 2025, 12,5 nel 2026 e 10,5 nel 2027.

“Ad oggi, le uniche risorse effettivamente destinate alle stabilizzazioni sono quelle stanziate nella precedente legge di bilancio: 9,5 milioni di euro per il 2025, 12,5 milioni per il 2026 e 10,5 milioni a decorrere dal 2027 – sostengono i ricercatori -.  I 160 milioni recentemente annunciati dalla ministra Bernini, invece, sono vincolati al rafforzamento di specifici programmi e infrastrutture scientifiche. Trattandosi di un finanziamento triennale, questi fondi non possono essere utilizzati per stabilizzazioni di personale, che richiedono risorse strutturali e continuative. Sebbene la ministra in sede di conferenza stampa abbia affermato che tali risorse sarebbero servite a “dare una collocazione definitiva ai ricercatori”. Il fondo di finanziamento ordinario delle università è stato tagliato di oltre 170 milioni. E anche il finanziamento di 160 milioni agli enti di ricerca di cui si è vantata la ministra in realtà deriva dalla riassegnazione di fondi che erano già stati stanziati dai governi precedenti. Non è facendo il gioco delle tre carte che si risolvono i problemi della ricerca italiana, ma con un serio piano di investimenti che ci allinei con la media Europea”.

LA NUOVA PRESIDENZA DEL CNR

Di recente il CNR ha rinnovato i suoi vertici. Il prof. Andrea Lenzi è il nuovo presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), 72enne medico Professore emerito di Endocrinologia della Sapienza di Roma, scelto dal ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini (Forza Italia), dopo alcuni mesi di vacatio. “Senza un presidente il CNR non può deliberare sul bilancio o prorogare contratti in scadenza, firmare nuovi bandi, autorizzare variazioni di spesa, sottoscrivere e rinnovare gli accordi internazionali. Per non parlare del danno di immagine, che ha messo a rischio la credibilità del CNR in Italia e negli altri paesi”, ricordano i ricercatori. L‘incarico, a titolo gratuito, durerà solo due anni. “Ci auguriamo che il professor Lenzi, un professionista di grande competenza ed esperienza, che voglia ascoltare con attenzione la voce di chi, come i 4.000 ricercatori precari, contribuisce quotidianamente al progresso scientifico dell’ente con dedizione e professionalità. Il CNR affronta da tempo criticità strutturali, tra cui una burocrazia particolarmente complessa e una minore capacità di attrarre fondi competitivi rispetto ai competitors europei. Come ha evidenziato lo stesso professor Lenzi nell’intervista al Sole 24 Ore, enti come il CNRS francese dispongono di un organico significativamente più ampio, un fattore che incide direttamente sulla loro capacità di ottenere finanziamenti”.

LA FIGURA DEL RICERCATORE PRECARIO

Ma è nella percezione della figura del ricercatore precario che, forse, ci sono le maggiori distanze tra i ricercatori del CNR e il neo presidente Lenzi. “Leggere le sue recenti dichiarazioni sul precariato, in particolare l’affermazione secondo cui “ti pagano per imparare a fare ricerca, non per essere assunto” (Il Sole 24 Ore, 31 luglio, ndr), ha suscitato in molti di noi un senso di amarezza. Dopo 5, 10, talvolta 15 anni di attività ininterrotta, non possiamo più essere considerati apprendisti: siamo lavoratori a pieno titolo, portatori di competenze che meritano riconoscimento, stabilità e dignità professionale. Confidiamo che il nuovo presidente, grazie alla sua esperienza, possa almeno avviare in questo seppur breve periodo di due anni un percorso concreto per ridurre il cronico sotto-organico, semplificare le procedure burocratiche e rafforzare il ruolo strategico della ricerca pubblica in Italia”.

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