La sentenza della Corte di giustizia europea in merito alla designazione di un paese terzo come “paese di origine sicuro” ha scaldato la politica agostana. Intervista al prof. Mario Esposito, costituzionalista e docente dell’Università Luiss.
La Corte di Giustizia europea, con la sentenza della Corte nelle cause riunite C-758/24 e C-759/24, ha gettato un sasso nello stagno della politica agostana. I giudici europei sono intervenuti nello spinoso tema della designazione di un paese terzo come «paese di origine sicuro» stabilendo che quest’ultimo deve poter essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo. Una statuizione dirompente che ha sollevato dubbi sia tecnici che politici.
Ne abbiamo parlato con il prof. Mario Esposito, costituzionalista e docente dell’Università Luiss.
Partiamo dal principio. La Corte di giustizia europea è stata adita dal Tribunale ordinario di Roma perché due cittadini del Bangladesh hanno impugnato la decisione di rigetto della domanda di protezione internazionale presentata.
Sono tanti gli elementi singolari di questa vicenda. Io ho letto la sentenza, le conclusioni dell’avvocato ma anche il rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma e non è dato capire quale fosse la discriminazione lamentata dai ricorrenti del Bangladesh (ragione per la quale non potessero essere sottoposti alla procedura accelerata) né perché contestano la qualificazione del Bangladesh come paese sicuro. Se guardiamo le carte disponibili, la sentenza della Corte di giustizia, l’ordinanza di rimessione, le conclusioni del procuratore generale, non si riesce a capire cosa lamentassero questi signori. Perché se lamentano un motivo di esposizione al rischio il giudice può e deve dare loro tutela.
Cosa stabiliscono i giudici europei nella sentenza della Corte nelle cause riunite C-758/24 e C-759/24?
Nella sentenza è stabilito che non è vietato a uno Stato di fare una qualificazione con un atto legislativo perché non ci sono vincoli dal punto di vista della direttiva 2013/32/UE. Quello che si vuole riconoscere al giudice è di valutare, in generale, tale lista. Un approccio che nega la separazione dei poteri.
Quali strumenti può usare il giudice per effettuare il “controllo giurisdizionale vertente sul rispetto dei criteri sostanziali stabilite dal diritto dell’Unione” sugli atti del legislatore?
Nella sentenza c’è scritto “anche mediante informazioni da esso stesso raccolte”. Ecco questa è uso della “scienza privata del giudice”, vietato nel nostro ordinamento. Una cosa che non si è mai sentita nello stato di diritto democratico.
Quindi un giudice dovrebbe avere le sue fonti di informazione.
Sì, dovrebbe avere le sue fonti e noi non sappiamo quali. Ma, soprattutto, qualunque esse siano, non le può usare. Il giudice può essere anche il più grande esperto, per sua passione, del Bangladesh o di un altro paese, ma non può utilizzare quella sua scienza privata, è un principio consolidato. Come fanno i giudici queste valutazioni? Con quali strumenti? Il giudice non ha strumenti tecnici per fare questo tipo di valutazioni. Alla fine a chi si dovranno rivolgere? Alle sedi diplomatiche, alle organizzazioni internazionali per compiere apprezzamenti molto delicati che non possono essere affidati a singoli giudici. La sentenza vuole affermare il potere del giudice di disattendere la qualificazione fatta dal legislatore e quindi dal potere politico mediante i suoi mezzi e le sue fonti (che includono anche fonti diplomatiche molto delicate).
Chiedere ai giudici di valutare la bontà delle liste di paesi sicuri stabilite dal legislatore è l’unica strada per garantire sicurezza ai singoli?
Questo è un altro punto importante. L’ordinamento italiano già prevede, così come la direttiva, che la qualificazione di paese sicuro non tolga al singolo la possibilità di far valere la sua situazione particolare. Se i singoli raccontando la loro storia e portano un minimo di prove del fatto che sono perseguitati, sottoposti al rischio di tortura o se sono limitati nei loro diritti essenziali, gli strumenti per supportarli esistono. Quindi non è vero che un cittadino che arriva da un paese qualificato come sicuro non abbia strumenti per opporsi al suo trasferimento.
A cosa serve affidare un potere così grande ai giudici?
Me lo sono chiesto anche io. Mi sembra che si voglia che il giudice possa disattendere la valutazione fatta in via generale, quindi non sulla base della situazione particolare di un singolo. Questo è un passaggio molto delicato perché investe i singoli giudici di poteri diversi da quelli che spettano alla funzione giurisdizionale e questo non ha niente a che fare con la tutela dei singoli. Però se il giudice ritiene che la norma sia irragionevole allora deve andare in Corte Costituzionale e avere materiale in base al quale chiedere alla Corte un sindacato sulla legge. Perché ai fini della tutela delle singole persone ci sono già tutti gli strumenti previsti dalla direttiva e attuati nel nostro ordinamento.
Quindi…
Quindi quella che si gioca è un altro tipo di partita. Io non ho trovato nella sentenza alcun passaggio in cui si dice che la normativa italiana sia contraria al diritto comunitario. Trovo, quindi, un pochino offensivo che la Corte di giustizia, i cui componenti sono soggetti designati ai governi, continui a fare finta di non sapere che noi siamo uno stato di diritto. Noi abbiamo la nostra identità costituzionale che la Corte di giustizia è obbligata a osservare come risulta dagli articoli 4 e 5 del trattato dell’Unione europea. La Corte ritiene che il nostro assetto costituzionale non sia corretto? Allora immagino che non lo sia anche quello francese e quello spagnolo.
Quali potrebbero essere le ricadute di questa sentenza?
Le ricadute di questa sentenza sono serie e andranno a pesare sull’assetto costituzionale.
Che efficacia avrà questa sentenza?
Me lo chiedo anche io. E mi chiedo anche se la Corte di Giustizia possa dire quali sono le competenze costituzionali che spettano ai giudici? Insomma, è difficile sostenere che un giudice, in Italia, possa porre nel nulla un atto di volontà del legislatore. Ripeto, se il giudice ha dubbi di costituzionalità può adire la Corte costituzionale. Le considerazioni generali vanno affidate a chi può farle, altrimenti si finisce per arrivare agli estremi del pangiudiziarismo, la tendenza a sostituire, con autorità che si ritengono più competenti, autorità parlamentari, per le quali si conoscono i canali di mediazione, ma nel caso delle autorità tecniche noi cosa ne sappiamo?